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Ci andammo una sera prima del tramonto,

senza fucile, con una roncola e un mazzo di

giunchi per farci le capannucce tra i cespugli.

Si fece la solita strada e, giunti circa all’ al­

tezza della Cantoniera, scegliemmo un campo

che tre anni prima era coltivato a grano.

Le spine secche dei cardi sommergevano le

ultime tracce di stoppie e, dondolando sugli

steli, le corolle leggere mi toccavano dolorosa­

mente il ginocchio o mi graffiavano gli sti­

vali. Nel centro del campo, sulla terra dura

e secca che risuonava sotto i passi, cresceva

un’erba folta e sottile come il lino, tra la quale si

vedevano le caccole nere dei conigli e le tracce

dei loro giuochi, qua e là, come mani passate

su un velluto. Non potendomi spiegare come i

conigli, per arrivare a quell’erba delicata, po­

tessero attraversare la barriera di spine, pensai

che forse l’erba nascondeva l’ apertura di lun­

ghe gallerie che correvano sotto i campi e le

siepi. Grandi ulivi mutilati, cinque, e radi

cespugli di lentischio, sulla linea della siepe,

di cui non v’era più traccia, delimitavano il

campo dalla parte della Cantoniera. Invece

dalla parte opposta non v’erano che grandi

e folti cespugli, e proprio tra questi noi deci­

demmo di preparare i nostri nascondigli, in

vista degli ulivi, che, da molti schizzi bianchi

sul tronco, giudicammo frequentati dalle tor­

tore. Ci tagliammo un nido dentro il folto

dei cespugli e coi rami tagliati e coi giunchi

fabbricammo una specie di tettoia verde. Io

entrai dentro uno di questi nidi per prova,

e i miei abiti conservarono poi l’odore aspro

del lentischio. Tornammo per una stradic-

ciola sprofondata tra le siepi e gli alberi, che

era quasi notte, ma di notte veramente si

poteva parlare solo per i monti, che parevano

tagliati in un cupo cielo notturno un poco

sbiadito, come di anni scorsi.

Il

giorno dopo partimmo prima dell’alba,

perchè solo alle prime luci le tortore si spo­

stano da un’ aia all’altra e si posano sugli al­

beri. Appena alzato bevvi un bicchiere d’acqua

e mi accorsi che, da quello che avevo bevuto

prima di andare a letto, la luna aveva fatto

ben poca strada nel cielo. Avevo dormito

solo poche ore. Era la seconda volta, quel­

l’anno. che mi decidevo ad andare a caccia,

se caccia può dirsi quella alle tortore; e ci

andavo un poco per non dispiacere agii amici,

un poco per non staccarmi del tutto da un'abi­

tudine giovanile. Ha quella mattina ero con­

tento d andarci, come q u a d o ero ragazzo, e

con gioia, quando m’era parso di sentire u

sassetto contro la gelosia, e m'ero affacciato

per dire a mio cugino che in un momento

sarei stato pronto, vidi che la strada era scura,

scuri i monti, per quel poco che se ne vedeva

dalla mia finestra, ravvivati gli odori nel vento

fresco che s’era levato. Durante quelle poche

ore era piovuto. Per questo il mio sonno era

stato così riposante, quasi autunnale. L’au­

tunno è qui una stagione forestiera, giunge

improvvisa, estranea ai nostri calcoli, a rom­

pere per capriccio la monotonia di questo cli­

ma; allarga i giorni, accende una nuova tra­

sparenza nella campagna, rileva i colori, che

pure esistono, in questa indefinita e aspra

cupezza. Allora dai monti boscosi traspaiono

le rocce, prima grige, ora di un rosa dolo­

mitico, gli ulivi della pianura, che s’ è bevuta

tutta la pioggia, invitano l’occhio a contarli

e tu scopri il ciglio del fosso su cui si spor­

gono, il letto del torrente, ancora secco, come

una fiumana di pietre grigie, mille altri acci­

denti del terreno fin’allora sommerso nella

luce polverosa, inerte delle stoppie.

Le frasche con cui avevamo coperto i nostri

nascondigli si distinguevano dalle altre, di

lontano, per una maggior compattezza, che

non poteva però dar sospetto alle tortore.

I cespugli erano bagnati e odoravano come

bestie vive. Ed ecco che siamo di nuovo

ognuno dentro il suo covo col fucile carico tra

le ginocchia, e come sempre ci chiamiamo

con fischi leggeri per dirci che siamo pronti,

che tutto va bene. Ma nuvole azzurre e immo­

bili nella profondità del cielo nascondono il

sole che già dev’essere sorto sui colli, e ritar­

dano l’alba, per cui gli uccelli se ne stanno

ancora nei loro alberi, svegli, in un silenzio

notturno. Dalla breve finestra di foglie vedo

il mio ulivo che, mi pare assai misero, e dietro

a quello altri ulivi, cespugli e siepi, folte

macchie d’alberi chiari stretti ai piedi di un

colle. Con la testa sotto l’ala grigia là stanno

le tortore in attesa che il sole si mostri. Una

schioppettata lontana, partita quasi dal seno

del colle, ne fa levare tre che percorrono la

linea chiara di cielo tra il crinale dei colli e

le nuvole e spariscono in cerca di altri al*

beri silenziosi. Sento, dopo un poco, dietro

le mie spalle, il loro rapido sfrascar d’ali.

Dai cespugli partono fochi leggeri, cenni

d’ intesa.

In questa piccola finestra di luce si perde

ogni cognizione della prospettiva e della dH

stanza. Un moscerino che ti passa davanti

agii occhi pnft sembrarti una tortora fra albati

lontani t

strie di

piegato dal vento

che

m

raddrizzi coi snei chicchi saspcai «j

vi