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— Tutto bene; ma io non posso accordare la mia

tiducia se non a chi sa guadagnarsela con la propria

condotta.

Metternich, colpito come da una frustata, arrossì

tino al bianco degli occhi. Tuttavia riuscì a domi­

narsi. S'inchinò mormorando tra i denti:

— Questo s'intende, Altezza...

La scena di tanti anni prima a Dresda, i gesti e le

parole di Napoleone, tutto gli tornava alla memoria

in quel momento con la vivezza dei ricordi sgraditi.

Chiamò Gentz con un gesto, lo presentò a Franz,

si ritirò con un pretesto.

— Guerra dichiarata — diceva Franz tra sè guar­

dando il Cancelliere che si allontanava eretto sulla

liersona, distribuendo cenni di saluto ai cortigiani.

- Può darsi ch 'io sia stato eccessivo. Ma tra me e

lui i ponti sono rotti non da oggi. Egli mi è sempre

stato nemico. Odia ancora mio padre in me. e tutta

l'Europa sa che è il mio carceriere...

Gentz, che aveva notato l'imbarazzo del congedo

di Metternich, portò il discorso su un altro terreno.

Parlò ddl'attaccamento di Prokesch, della bontà e

dell‘affetto di Dietrichstein. Franz rispondeva con

amabilità. Quando si lasciarono, erano diventati

amici.

Prokesch, Dietrichstein, Gentz.... Adesso erano

in tre a puntare sul trono di Francia per conto del

figlio di Napoleone. Gentz comunicava a Prokesch

certi rapporti segreti da Parigi su una ripresa del

movimento bonapartista in seguito al malcontento

che cominciava a serpeggiare, specie nei diparti­

menti del sud, contro Luigi F ilippo ; e Prokesch ne

riferiva a Franz.

In qualche momento egli pareva riscuotersi : tor­

nava ad accedere alle idee di Prokesch, a parlare

delle sue possibilità. Poi improvvisamente piombava

in profonde crisi di malinconia e di scoraggiamento,

e gettandosi nelle braccia deH'amico si metteva a

piangere come un bambino.

Un giorno Prokesch lo trovò che leggeva il testa­

mento di Napoleone nel secondo volume delle

Me ­

morie

di Antonmarchi:

— Ecco la regola di condotta di tutta la mia vita!

— disse Franz alzando appena gli occhi. E lesse ad

alta voce il paragrafo quarto del primo articolo del

testamento, dove il padre gli raccomandava di non

dimenticare mai d'esser nato principe francese.

Oh ! no, egli non lo dimenticava. Ed era questa la

tortura delle sue tristi giornate. Non lo dimenticava.

E gli pareva d ’esser solo nel mondo a ricordarlo, di

non poter contare che su se stesso per tenere acceso

un fuoco ideale la cui fiamma non poteva più prati-

i-amente trasmettersi e, senza di lui. si sarebbe

'penta...

— Perchè disperare. Altezza? — badava a ripe-

tere Prokesch. riferendogli le notizie che venivano

da Parigi.

— Credete che

te

avessero consistenza. Metter*

nich le lasrierebbe arrivare fias a me? — gli rispase

una sera Frana che, pia triste del salita, enervala

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da un vento crudele che li spogliava delle ultime

foglie.

Era tornato da poche ore dall'aver accompagnato

sino a Tarvisio sua madre che rientrava in Italia.

Maria Luigia non l'avrebbe più riveduto che sul

letto di morte.

* ♦ ♦

Le assiduità di Prokesch non piacevano a Metter­

nich, il quale non si curava di nasconderlo. Aveva

rinunciato a servirsi del giovane diplomatico per

qualche importante missione in Europa.

— La mia stella declina! — diceva Prokesch sor­

ridendo. Il giudizio che Metternich dava su di lui

era severo, e la sua influenza su Franz gli appa­

riva pericolosa. Ma Prokesch teneva duro. I suoi

rapporti con Franz divennero anche più intimi. Chi

gli av esse detto che sul principio qualcuno aveva so­

spettato in lui un emissario di Metternich, una spe­

cie d'agente della Cancelleria, o almeno un amico

che obbediva a motivi non disinteressati. Il buon

Dietrichstein invece aveva veduto subito giusto. Fu

lui a tranquillizzare Maria Lu igia:

— L'amicizia di Prokesch fa molto bene a Sua

Altezza, del quale gode la completa fiducia. E Pro­

kesch la merita. Io dimenticherei tutti i miei dispia­

ceri se egli restasse presso Sua Altezza.

Una «era di novembre, recatosi come al solito ne­

gli app .. .aulenti di Franz, Prokesch trovò il prin­

cipe in uno stato di grande eccitazione. Aveva in

mano una lettera e gliela tese.

— Leggetela. Poi mi direte rosa dobbiamo fare.

Prokesch lesse:

Vienna, 17 noteabre 1830.

Al Duca di Keichstadt.

Principe, io vi scrivo per la terza volta. Vogliate

farmi sapere con una parola se avete ricevuto le mie

lettere e se volete agire da arciduca austriaco o da

principe francese. Nel primo caso, consegnate alla

polizia le mie lettere. Denunciandomi, voi acquiste­

rete probabilmente posizione più elevata, e questo

atto di zelo vi sarà attribuito a gloria. Ma se, al con­

trario, volete approfittare de ' miei consigli, se agite

da uomo, allora, Principe, vedrete come gli ostacoli

cedono davanti ad una volontà calma e forte. Voi

troverete mille mezzi per parlarmi, che, da sola, io

non posso attuare. Voi non potete riporre speranza

d ie in voi. Che l'idea di confidarvi con qualcuno

non si presenti neppure al vostro spirito. Sappiate

che se io chiedessi di vedervi, anche davanti a cento

testimoni, la mia domanda sarebbe respinta; —

che

voi siete morto per tutto ciò eh'è francese o della

vostra famiglia. In nome delle orribili tortore

alle

quali i sovrani d 'Eu ropa condannarono vostro pa­

dre, ricordando la

sua

agonia d 'esule

con

la

quale gli

fecero M in iare la colpa d'essere stato

troppa gene­

roso versa di

loro,

pensate che vai siete sua figlia,

che i suoi sguardi di maribanda si sana pacati sulla

▼a*tra immagine; imbevetevi di

questa orrore e MB

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suro fuppiizio rn f (fumo ai vedervi