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veri, tra 1 caduti c gl’infelici, tra i derelitti e pii spazza­

camini, fra i malati, 1 carcerati, i condannati a morte.

Le carceri delle Torri Palatine, del

Correzionale,

delle

Forzate

c del

Senato

— covi di luridume, di fe­

tore, di pervertimento morale — lo vedevano entrare

ansioso, frettoloso, sereno in volto, sicché l’austero

sacerdote non pareva più il medesimo. Quei detenuti

carichi di ferri, legati come tante bestie, arrabbiati e

consumati dalla fame, si trasformavano alla sua pre­

senza, e con lui entrava in quelle squallide celle un

raggio di paradiso. Egli diceva di trovarsi là dentro

nel suo elemento

; avrebbe voluto aver là una camera

per vivere con i detenuti; sorrideva quando, tornato

a casa, trovava negli indumenti cimici c pidocchi, e

diceva:

sono i guadagni del prete!

★ ★ ★

I

Torinesi lo videro accompagnare i condannati

al patibolo per ben 57 volte; a nessun costo avrebbe

ceduto ad altri quel compito delicato e penosissimo

chc lo faceva star male fisicamente per più giorni,

ma chc il suo spirito considerava un dovere indero­

gabile. Vi accompagnò Pietro Mottino, detto il

ber­

sagliere di Cattdia,

capo di una terribile banda di bri­

ganti, Dcmichelis d’Ormea detto Suri, il

sarto

di

Strambino, l’oste Boglictti, quell’ Antonio Sismondi

che messo nella cassa dopo l’impiccagione fu udito

rantolare e picchiare, sicché riaperta la cassa e portato

in un’infcrmeria sorbì una tazza di caffè e visse an­

cora alcune ore... Tutti, anche quel feroce Boglictti

chc dapprima avrebbe voluto strangolare il Cafasso,

tutti fu«v>no vinti dall’infinita tenerezza del Santo,

tutti si ravvidero, tutti incontrarono la morte con for­

tezza c con segni di vero pentimento. Se il popolo

torinese chiamava Don Cafasso

il prèive Sla forca,

il

Cafasso a sua volta chiamava quelli i

suoi santi impic­

cati,

tanto egli era sicuro di averli portati dal patibolo

di Valdocco alla felicità del paradiso!

* * *

Preda più difficile da conquistare a Dio fu il fa­

moso Generale Gerolamo Ramorino, condannato a

morte per alto tradimento da un consiglio di guerra

mediante fucilazione nella schiena e previa degrada­

zione. L’anuco mazziniano e cospiratore mostrava»

20

riluttante alle premure spirituali di Don Cafasso che

10 visitava in Cittadella; ma poi si riconciliò con Dio,

dicendo di aver conosciuto nel Cafasso un uomo

«degnissimo di essere sacerdote *. Alla vigilia dcH’ese-

cuzionc il Re commutò la fucilazione nella schiena

con la fucilazione nel petto c gli tolse la pena disono­

rante della degradazione. Il Generale Ramorino —

affidato al Cafasso il disbrigo di talune incombenze

terrene — si dispose al gran passo con pietà di cri­

stiano e coraggio di soldato.

Nella piazza d’armi egli avanzò a passo di marcia

tra il rullo dei tamburi in mezzo ai reparti di truppa,

quindi chiese al Cafasso se, per dar prova di non

temere la morte, avrebbe potuto egli stesso comandare

11 fuoco. Ma il sant’uomo — vedendo in quell’atto

«

un resto di vanità mondana, chc avrebbe potuto di­

minuire il merito del suo sacrificio davanti a Dio —

ve lo dissuase. Anzi gli disse: « Signor Generale, vuole

fare davanti a questo popolo una predica cento volte

più efficace delle mie? Baci questo Crocifisso, c la

predica sarà fatta *. E subito il Generale baciò davanti

a tutti, con un fervore chc parve ad 1111 tempo pio e

cavalleresco, il segno santo della Redenzione umana,

sicché dalla folla commossa si levò un brusìo d'ammi­

razione... Al comando d’ un ufficiale il plotone d’ese­

cuzione sparò, e il Generale Ramorino cadde a terra

colpito da cinque pallottole. Il Cafasso ritornò affranto

al Convitto, ma il suo cuore era vibrante di tenera

riconoscenza a Dio, perche diceva:

Anche quest'anima

è salvata!

* +

*

L’ uomo di Dio, il maestro del clero, il padre dei

poveri, il consolatore dei miseri mori giovane ancora,

a 49 anni, estenuato dalle enormi fatiche e veglie so­

stenute per amor di Dio c del prossimo.

Lo assistette nell’agonia il Canonico

Anglesio,

suc­

cessore del Santo

Cottolengo;

gli reato l’elogio fu­

nebre il Santo

Don Bosco,

il più grande e glorioso

suo discepolo.

Ora il Santo

Cafasso

dorme il sonno dei giusti

nel Santuario della Consolata; le sue spoglie mortali

riposano venerate in un sepolcro trasformato in altare.

SILVIO SOLERO