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Il lutto non si addice ai torinesi, non si addice agli

italiani ».

E la dimostrazione pratica che l’«

anda

» è stata

data e che Aligi si è svegliato... Il viaggio di Gianduja

si è mutato in viaggio trionfale... perchè aveva un

significato molto più profondo del fatto che il ca-

valier Gianetto si fosse, per l’ennesima volta, messo

il parrucchino e sul parrucchino il tricorno. Gian-

duja, per le folle, per le città, per le borgate, era

un sintomo di vita, di desiderio di vita, di deci­

sione di vita. E la coincidenza di data che ha fatto

nascere questo carnevale sotto il segno di una cifra

quasi cabalistica, 48, ha avuto anch’cssa un enorme si­

gnificato: il significato di una partenza da zero; il signi­

ficato che quel popolo il quale, cento anni or sono,

dopo esser stato denominato una collettività di cadaveri

o di suonatori di mandolini — il che suppergiù stori­

camente fa lo stesso — diventò protagonista della sua

storia e la sua storia si forgiò con le sue stesse mani;

quel popolo oggi, dopo esser stato definito una col­

lettività di

sciuscià o

di

signorine

— il che suppergiù

fa lo stesso — vuol essere ancora protagonista della

sua storia.

Tutta Torino, tutto il Piemonte è uscito, si po­

trebbe dire, fuori dalla casa poiché le case sono tane

quando non vi e letizia; si è riversato nelle piazze,

nelle vie, nei teatri — in quei pochi che esistono an­

cora — nelle sale da ballo. Piazza Vittorio ha ri­

fatto la mobilitazione delle giostre, degli ottovolanti,

degli uomini elettrici, delle preseperilnaso, degli

strilli delle ragazze. Vero è che non c’era più la

bella Teresina della nostra adolescenza che, due soldi

a testa, ci faceva « cingere le cosce » per controllare

che si trattava di vera

carne « senza trucco e

senza inganno *...; vero

è che non c’era più

l’uomo proiettile. Ma

anche l’industria della

fiera ha progredito, si

è meccanizzata, è di­

ventata meno ingenua,

e meno colorita, delle

fiere di quei, mode­

stamente, non troppo

lontani anni. Poiché

quando noi parliamo

della Torino viva della

nostra adolescenza, ci

guardano come se fos­

simo archeologi che

spieghino i misteri di

Glozel o della Valle

dei Re. Mentre par­

liamo, sì e no, di una

ventina di anni or sono.

Ma gli «anni di servi-

rio» valgono il dop­

pio. E per quel po’ po’ di servizio che ci è caduto

sulle spallo dovrebbero contare il quadruplo. Via Po è

tornata la via dove non si cammina. La via dove si

è trascinati su un soffice tappeto di coriandoli da un

tapis-roulant

di folla, acceccad, tamburellati di colpi

di ogni genere; e le due piazze in cima e in fondo, gli

epicentri e gli sfiatatoi della bolgia.

Ancora qualche colpo di lima a quella crosticina

di musoneria portata dal mal ventennale, e i torinesi

risaranno quelli che erano, quelli che sopravvivono nel

ricordo e nella nostalgia. Un carro di Giacomette si

avviava a Torino, sorvegliato da cerberi che pare­

vano generati da un incrocio di eunuchi e di « formi-

cole»; ammesso che gli eunuchi possano far nascere

qualcosa. Mancava quel senso di comunicatività col­

lettiva che è la temperatura indispensabile del carne­

vale, quel senso per cui un individuo, una volta adot­

tato il r — "vale, scaraventa via la carta di identità,

si spoglia dei suo rango, della sua prosopopea, e magari

del suo sesso.

Temperatura che è stata magnificamente ottenuta

al Veglione dei Giornalisti Subalpini sotto il segno

della

Bela Cigoliti.

La t

Famija

* risorta anch’essa dalle macerie (e cosi

risorgano anche le case di via Po, di via Garibaldi,

di via Frejus e di tutto il resto del rosario cittadino

e non sorgano soltanto cinematografi, cinemateatri e

tcatricinema) ha saputo ritrovare lo slancio dei suoi

verdi anni; ha fatto la leva in massa dei vecchi quadri

territoriali ed i territoriali si sono dimostrati più baldi,

più ricchi di iniziative delle reclute che erano, è umano,

un pochino a disagio. Gianduja dall’alto del suo carro,

avrebbe potuto dire napoleonicamente:

Torinesi, sono

contento di voi. La

mobilitazione carneva­

lesca ha costituito un

successo.

I

padri ormai pos­

sono essere fieri e tran­

quilli poiché hanno pas­

sato, accesa, la fiaccola

carnevalesca ai figli.

È così che si crea un

« Carnevale di Torino »

ed i figli dovranno di­

mostrare di saper arric­

chire e personalizzare

la ricetta. Poiché non

basta dire: si prende

un Gianduja, tanti car­

ri, tante giostre, tanti

chili di coriandoli e di

stelle filanti.

E' indispensabile

l’anima. E questa volta,

Torino ha ritrovato

l’anima.

gec

t »