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«

ih

tolti

in o m i u

Veramente, una volta, di carnevali ce n’eran due:

quello di Torino e quello di Venezia.

Erano i due «carnevali celebri », i carnevali chc face­

vano spostare — come per la villeggiatura — famiglie

intere, tribù al completo... E ci si divertiva più al

carnevale che in villeggiatura. E ovvio... Ogni car­

nevale nasceva sotto il segno di uno «slogan » c il

«

bugiumse

runici» può corrispondere un po’ al «

dagliela

aranti un passo

». Gli slogan sono stati inventari dalle

maschere prima che dagli uomini politici. Proprio

tosi. Ad ogni modo, i carnevali torinesi della mia

adolescenza studentesca, e non studiosa, nascevano

sotto il segno di «

Hai risto Felino?

», battuta princi­

pale della commedia a gran successo « Il Carnevale di

Torino ». Allora il clou carnevalesco consisteva nel

cacciarsi in testa un elmo da pompiere o da dragone

o magari un secchio metallico. F il carnevale traboc­

cava dal vecchio « Scribc », dal « Winter Club », dal

clubino per tutta la città. Poi quando gli italiani si

vestirono a lutto — o almeno una parte di essi, e di

un lutto lugubre tipo « veleno » — il carnevale, è

logico, cominciò ad agonizzare. Anche perchè non

poteva reggere alla concorrenza delle ininterrotte ma­

scherate ufficiali.

Gianduja si ritirò nel suo « ciabot * come in un

Aventino di legno, a

piano rialzatolo, me­

glio, come una lumaca

nel suo guscio, pronto

a rimetter fuori la testa

non appena passato il

temporale.

Ecco perchè tutta

una generazione ha

ignorato il

Camerale di

Torino

c i suoi splen­

dori; le imprese dei

padn... c delle madri,

le trovate dei nonni.

Racconti tutti da tar

orripilare, o da far rim­

piangere, i tempi felici

quando gli studenti

erano studenti, le

tote

tote, e

i giovani giovani.

Non precocemente in­

vecchiati, non ragazze

*

smanciosc con calze nylon, non occhialuti sputasen­

tenze.

Allora, almeno una volta l’anno, si impazziva sul

serio. O, per essere più precisi, si impazziva soltanto

una volta l’anno...

Il carnevale ha cercato e cerca di risalire la china.

Poiché è dal carnevale, psicologicamente, chc deve

partire la ripresa effettiva in quanto la ripresa è un

fenomeno più intimo chc esteriore. E indispensabile

chc gli uomini — c negli uomini si devono compren­

dere anche, c soprattutto, le donne — imparino an­

cora ad essere spensierati, a guardare la vita con oc­

chiali rosei ; a sorridere. Ecco, a sorridere ed a liberarsi

finalmente dal nemico numero uno che è la Paura c

chc, per noi almeno, più chc paura era diventata

incubo.

Ma per ricostruire gli uomini « dall’intimo » era

necessario ricostruire quell’ambiente che avrebbe in­

fluenzato, suggestionato gli individui: far rinascere il

carnevale, far rinascere la

Jainija,

far rinascere balli c

veglioni... L’ uomo sarebbe stato preso dal «giro»;

sarebbe parso un Aligi chc si sfrega gli occhi e che

pian piano ricomincia a vivere.

Avrebbe ricevuto — questo è l’essenziale —

una formidabile lezione di ottimismo. Ed è soltanto

con l’ottimismo chc si

superano le più ardue

difficoltà; è con l’otti­

mismo chc un uomo,

un popolo, superano la

morte.

Ecco perchè il ri­

sorgere del carnevale

ha un’importanza, per

Torino, c dirci per

la Nazione, assai mag­

giore di quanto non

sembri. Ecco perche il

fatto chc siano conve­

nuti a Torino centinaia

di migliaia di forestieri

è un fenomeno chc tra­

scende gli interessi

degli albergatori o dei

venditori di noccioline.

È un fenomeno che in

poche parole vuol dire :

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