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designata come storica e prima periferia vicina (che ha un impianto non regolare, dappri-
ma in assenza o carenza di norme, poi incluso in schemi di pianificazione) rivela suggesti-
vità e interessi che si appuntano sulla dialettica dei caratteri diversi.
La qualifica di nuclei “non centrali” della città è scelta al fine di individuare le parti
urbane che si distinguono dalle aree centrali, a causa di diverse morfologie urbane e di
tipologie edilizie alternative, e che possono essere o vicine al centro urbano o prossime
alla fascia iniziale di quella grande zona periferica che si è espansa a macchia d’olio. La
qualifica di nuclei non centrali ha quindi una valutazione solo topografica e topologica, e
non vuole sminuire il carattere di centralità – intesa come posizione urbana fondamentale
e preminente, cui si affiancano primari caratteri morfologici e baricentrici ruoli attrattivi –
che hanno i nuclei borghigiani, in quanto rappresentano dei fuochi di polarizzazione, quali
centralità diffuse, che risultano alternative alla centralità primaria dell’area urbana, che dà
luogo alla formazione della città e agli integrati ampliamenti successivi.
I ricordati interessi culturali che – a partire dal 1960, con la Carta di Gubbio – si sono
calibrati alle zone urbane centrali, devono estendersi anche alle zone storiche non cen-
trali, intese come prime periferie vicine, per le quali si richiedono uno studio mirato e un
attento giudizio. Se la pura conservazione non è realisticamente praticabile, una compe-
tente attenzione per la “struttura storica della città” (Vera Comoli) può aiutare a non com-
mettere errori di valutazione nei riguardi delle ipotesi per lo sviluppo di qualche comparto
urbano: il senso del luogo richiede che si proceda a un’attenta prassi di rinnovo, tutelando
sia la struttura formale degli edifici, e le pertinenti tipologie, sia l’impostazione planivo-
lumetrica degli spazi urbani, e le pertinenti morfologie; non bisogna consentire nuove,
violente e quantitative intrusioni edilizie, con il pretesto di “modernizzare” i territori urba-
ni non centrali. Se si ascolta chi vive e lavora in quei luoghi, spesso negletti, può cogliersi
una richiesta ricorrente, tesa all’incremento dei servizi e all’abbattimento dei fattori di
segregazione.
Le parti della città storica europea: la zona centrale aulica e le
zone storiche non centrali, intese quali prime periferie vicine
Per conoscere e capire le parti della città storica europea bisogna dapprima avere una
visione relativa alle mutazioni settecentesche di controllo militare del territorio nel quale
la città è situata, e poi planare sulle mutazioni economiche ottocentesche, adibite al con-
trollo fiscale e normativo del contesto urbano. La valutazione del passaggio dalla situazio-
ne territoriale prodotta da istanze postbelliche di pace alla situazione urbana prodotta da
istanze economiche, di finanza locale e di assetto normativo, consente la conoscenza e la
comprensione morfologica dei nuclei urbani, visti nelle varianti delle strutture formali, sia
codificate entro le cerchie delle fortificazioni, sia sistemate all’esterno di quei perimetri
murari, fra città e campagna.
I temi che si trattano in questo paragrafo sono stati affrontati nel citato lavoro storico
su borghi e borgate di Torino, cui rimando per eventuali riscontri
3
. Qui mi limito a ricordare
i fatti salienti di ordine generale, che hanno un riferimento al caso di Torino, in relazione
alle fasi di localizzazione e trasformazione delle realtà borghigiane, che sono oggetto del
presente studio. La pace di Aquisgrana (1748) chiude in Europa uno stato di belligeranza, e
apre un periodo di pace che, nel territorio, interessa i luoghi
extra muros
delle città fortifi-
cate. Il breve periodo napoleonico (fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento) vede
lo stabilirsi di norme e regole, inerenti agli aspetti militari, territoriali, urbani: si evidenzia
il carattere obsoleto delle cerchie fortificate delle città e s’introduce un’articolata norma-
tiva fiscale. Poi, lo Statuto albertino (1848) consente al Comune di Torino la gestione delle
imposte daziarie e innesca – quali eventi che si susseguono, connessi l’uno all’altro – un
processo fiscale e un fenomeno di tipo urbano e territoriale, che danno luogo ai siti e alle
forme delle borgate.
In riferimento al caso dei borghi e delle borgate di Torino, pare di qualche utilità ribadi-
re l’interesse storico di quelle parti di città che si possono definire prima periferia vicina,
con nuclei interni ed esterni alla cinta daziaria (1853-1912). Per Torino, è anche bene nota-
re che bisogna opporsi a una corrente prassi di politica culturale, tesa a omologare le parti
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Lupo, 2011, pp. 31-33.