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cinta – entro o fuori di essa –, si localizzavano diverse attività industriali (con opifici collo-

cati in rapporto alla presenza o all’assenza di tassazione daziaria sulle merci prodotte); tali

opifici svolgevano il ruolo di elementi primari che attraevano l’area della residenza.

In tempi relativamente brevi – lungo qualche decennio, circa –, le borgate costituivano

dei piccoli centri, i cui nuclei iniziali parevano raccordarsi a esiti che si collocavano ancora

nella scia culturale della classe bracciantile. Attorno ai centri delle borgate, che appari-

vano legati alle barriere (con metonimia, erano denominate barriere anche i borghi e le

borgate, situati all’esterno delle porte di accesso alla città), e connessi ad alcuni elementi

primari (quali opifici e nuove chiese), la prima e vicina periferia (che i sociologi francesi

chiamano

banlieue proche

) si ampliava, filtrata da graduali norme edilizie e urbane, se-

condo pezzi morfologicamente definiti e parti planimetricamente delimitate. Tali pezzi e

parti di città non centrale (che non rappresentavano ancora una periferia vera e propria)

manifestavano scelte tipologiche e topologiche che, da un lato, aderivano a un’articolata

forma di tipo urbano e, dall’altro, qualificavano (nella scarsa fittezza di alcune zone) un

modo di vivere che poteva ancora dialogare con le confinanti aree verdi della campagna.

Più tardi – in Italia, a partire dal secondo dopoguerra – la periferia si espandeva prima

lungo assi stradali, e poi a macchia d’olio, occupando grandi aree di territorio campestre:

si dà luogo a una nuova città che, dagli anni del cosiddetto miracolo economico, risulta

innescare un consumo di suolo e un diffuso e duplice senso di estraneità, sia rispetto alla

stratificata sua formazione, per pezzi e parti di tipo storico (brani di città che l’avallo nor-

mativo della nuova periferia tende a rifiutare), sia rispetto alla grande, qualificata e bella

zona centrale (città storica alla quale la nuova periferia tende a contrapporsi, normativa-

mente); la grande periferia costituisce una zona perimetrale che appare culturalmente

inattiva, morfologicamente eterogenea, socialmente ostile: fattori di segregazione e ca-

renza di servizi producono uno stato di crisi che si manifesta in un rifiuto dello

statu quo

residenziale e in alcuni atteggiamenti di protesta sociale, che producono alcune soluzioni

alternative di vita o qualche esplosione di rabbiosa impotenza.

Altra cosa sono le borgate sorte in Italia nel Novecento, durante il periodo fascista,

attorno a qualche città, come – per esempio – Roma; quelle borgate erano costruite da

privati o da pubbliche autorità, al fine di fronteggiare, in via ritenuta provvisoria, una si-

tuazione residenziale risultata poi, di fatto, definitiva. Una letteratura militante del secon-

do dopoguerra e una serie di film del Neorealismo hanno ben definito, stigmatizzandoli,

la situazione di miseria della popolazione e il degrado urbano ed edilizio di tali borgate.

Ancora altra cosa sono le borgate rurali, che fanno parte dei programmi di riforma

agraria del secondo dopoguerra in Italia; il carattere unitario di quelle borgate e la presen-

za di servizi sono – per esempio – riconoscibili a Matera, ne La Martella, opera di Ludovico

Quaroni e di altri collaboratori.

Alcuni criteri d’indagine perimetrale: i nuclei borghigiani entro e

fuori cinta, e il ruolo delle barriere

Anche questo paragrafo riporta, parzialmente, il citato mio testo

5

.

Nel corso della storia – come s’è accennato –, la localizzazione e il consolidamen-

to di parti e pezzi non centrali di città appaiono relativi a eventi storici generali. Prima

di Aquisgrana, i borghi

extra muros

risultavano legati al territorio come fatto produtti-

vo primario, ma anche come luogo soggetto a incursioni e distruzioni; dopo la metà del

Settecento, per quei borghi s’innescavano processi di rifondazione e di rinforzo, connessi

a una graduale estensione del supporto normativo e delle linee di destinazione d’uso; si

può dire che Aquisgrana sia un discrimine, nel senso che quella Pace comporta un inne-

sco fenomenologico di trasformazione dei borghi che già esistevano, i quali consolidano

o accrescono i limiti perimetrali. Dopo lo Statuto albertino, le borgate risultavano legate

al territorio come luogo d’insediamento graduale, in seguito ai fenomeni diramati della

prima cinta daziaria, delle barriere che nella cinta erano aperte – come passaggi e spazi

di aggregazione –, degli opifici, connessi a variabili filtri daziari; si può dire che lo Statuto

rappresenti un avvio, nel senso che quella Carta costituzionale comporta un innesco fe-

nomenologico per l’impianto delle borgate, che iniziano gradualmente a localizzarsi fuori

5

Lupo, 2011, pp. 71, 73.

1. Nella pagina preceden-

te: via Candelo (già priva-

ta). L'interesse dell’“isola”

urbana, cui questa via

appartiene, può consen-

tire qualche riflessione.

Rispetto a una città iper-

normata qual è Torino, la

differenza di questo ag-

gregato urbano è in una

denotazione di omogenea

qualità, che non dipende

dalla ricerca di schemi di

controllo edilizio

a priori

o

di

skyline

, ma deriva da un

reticolo viario ortogonale,

declinato nei confronti del

reticolo della città, e da un

accostamento di materiali

elementari e di semplici

oggetti edilizi: per esem-

pio, il trattamento delle

facciate, il taglio delle fine-

stre, i ricorrenti modiglio-

ni. L'omogeneità di tale

insieme è stata scalfita da

qualche recente interven-

to, con forme estranee che

stridono per i materiali

usati e il disegno degli ele-

menti di facciata. La consa-

pevolezza che deriva dalla

valutazione del senso del

sito, dovrebbe innescare

un'attenta prassi di tute-

la, per evitare incongrue

intrusioni e per proporre

idonee

pavimentazioni

stradali (stralcio planime-

trico tratto da

Pianta di

Torino

, in

Guida di Torino

,

Paravia, Torino 1949, tav.

52).