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La città antica

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marzo 2011

marzo 2011

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Torino: storia di una città

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magazzino (

horreum

) accoglieva le merci

che giungevano per via fluviale. Le abita-

zioni private, soprattutto con gli inizi del

II secolo, furono ristrutturate e ampliate,

dotate in molti casi di impianti di riscal-

damento e decorate, negli ambienti di

rappresentanza, con affreschi e mosaici

mentre i vani di servizio erano pavimentati

in cementizio e gli esterni spesso lastricati

con laterizi posati a secco.

Torino tardoantica e cristiana

fino al VI sec. d.C.

Torino torna a essere menzionata nelle

fonti letterarie, segno di un’accresciuta im-

portanza strategica, solo in età tardo-anti-

ca, in seguito alla

crisi del III secolo

e alla

ristrutturazione imperiale

del IV. In una

posizione di controllo sulla via delle Gallie

e in direzione del

limes

renano – funzio-

ne che, invero, non aveva mai perso, ma

che assume un nuovo significato, specie

a partire dalla fase centrale del III secolo

in coincidenza con la breve vita dell’Im-

pero secessionista delle Gallie (259-274

d.C.) – Torino vide numerosi e frequenti

passaggi di truppe imperiali, dirette ora

contro usurpatori militari ora a impedire

le scorrerie di gruppi barbarici al di qua del

confine settentrionale. Proprio questo suo

ruolo di “cerniera” tra Italia settentrionale e

territori transalpini, nonché la vivacità del-

la comunità cristiana raccolta attorno alla

figura del vescovo Massimo ridiedero fiato

a una realtà locale che pur nella sua mar-

ginalità recuperava identità e ruolo sociale

e politico. La diffusione del Cristianesimo

nell’area dell’attuale Piemonte settentrio-

nale avvenne a partire dagli anni Quaranta

del IV secolo ed ebbe come primo centro

propulsore Vercelli, sotto la guida del ve-

scovo Eusebio. Negli anni compresi tra la

morte di Eusebio (371) e quella di Am-

brogio di Milano (397), anche

Torino si

costituì in diocesi autonoma

con il suo

primo vescovo Massimo. Si avviò allora

un profondo processo di trasformazione

non solo civile e religiosa, ma anche ur-

banistica, a partire dalla costruzione delle

chiese e della sede episcopale, che segnerà

lo sviluppo della città nei secoli a venire.

Pur subendo la forte influenza della dio-

cesi ambrosiana, l’episcopato di Massimo

fu segnato dalla sua forte personalità e

dalla sua vigorosa e intransigente azione

pastorale. Di notevole importanza fu il

sinodo vescovile, voluto e predisposto da

Ambrogio, che si tenne a Torino nel 398

d.C. Principale scopo del sinodo fu quello

di ricomporre i numerosi conflitti sorti fra

i vescovi e le diocesi delle Gallie. I delibe-

rati di quel consesso, di là dalle questioni

specifiche trattate e solo in parte risolte,

confermano peraltro la testimonianza di

Massimo sulla dimensione non consolida-

ta, disomogenea e difficilmente governabi-

le del cristianesimo torinese tra fine IV e

inizio V secolo, ulteriormente complicata

dall’instabilità politica e dalla conflittuali-

tà sociale.

Dal punto di vista dell’evoluzione urbani-

stica, si è discusso a lungo sulle tre chiese

che formavano nel Medioevo il gruppo

episcopale della diocesi torinese, rispetti-

vamente dedicate a Cristo Salvatore, a San

Giovanni e a Maria, e su quale sia stata la

prima a essere edificata.

Smentite le teorie del passato, è oggi possi-

bile seguire la complessa storia del gruppo

“cattedrale” attraverso i nuovi dati archeo-

logici acquisiti con le indagini iniziate nel

1996 nel sottosuolo di piazza S. Giovanni,

tra il duomo e il teatro romano, e prose-

guite a più riprese nella cripta dello stesso

duomo, sotto l’ingresso secondario meri-

dionale e sotto la scalinata davanti alla fac-

ciata. Negli scavi della primavera del 1909

erano stati portati in luce i resti della basi-

lica del Salvatore, ma i “ruderi” erano stati

reinterrati dopo la rimozione del mosaico

romanico pavimentale. A un secolo di di-

stanza si è scelto invece di riportare alla

luce e conservare in vista le strutture delle

basiliche paleocristiane

, offrendo al pub-

blico la possibilità di ritrovare nelle aree

archeologiche sotterranee non soltanto i

resti della città antica, ma anche le testi-

monianze materiali delle sovrapposizioni e

delle trasformazioni di epoca medievale e

moderna.

L’isolato scelto dalla comunità cristiana

per costruire la cattedrale è quello a sud

del teatro, ormai chiuso agli spettacoli,

sull’altro fronte dell’ampia strada dove

si trovavano edifici pubblici di cui non è

conosciuta la funzione ma che rivelano

imponenti murature, ben diverse da quel-

le delle case private precedenti, probabil-

mente demolite intorno alla metà del II

secolo d.C. Per costruire gli edifici di culto

si utilizzarono le fondazioni più antiche,

mentre laterizi, pietre e legname venne-

ro recuperati e rimessi in opera; i grandi

blocchi allineati lungo la strada a forma-

re un nuovo marciapiede provengono dal

teatro, a riprova che ormai il vescovo po-

teva disporre dell’edilizia pubblica e aveva

assunto la responsabilità civile, oltre che

religiosa, della città, non più sorretta da

Particolare del pannello figurato centrale con un amorino alato che cavalca un delfino, ritrovato nella

domus

romana di via Bonelli (fotografia di P. Martelli).

tensa attività mercantile attraverso tutta la

Pianura Padana, costellata di porti fluviali

ed empori commerciali, è lecito supporre

che un’attività analoga, sia pure assai più

limitata, si svolgesse anche prima della

colonizzazione romana. Anche in ragione

di ciò molti studiosi tendono a risolvere il

problema dell’incerta collocazione della

capitale dei Taurini supponendo che essa

sorgesse in prossimità della

confluenza

del fiume Dora nel fiume Po

, sito par-

ticolarmente favorevole dal punto di vista

commerciale e strategico.

Per quanto indicano le ricerche archeolo-

giche fino a ora condotte, non vi è nessuna

continuità insediativa tra il centro taurino

e quello romano e si è ipotizzato, anzi, che,

dopo la distruzione annibalica, gli indige-

ni superstiti non abbiano ricostruito la cit-

tà né nel medesimo luogo né con le stesse

modalità, ma abbiano preferito strutturar-

si in un insediamento sparso costituito da

più villaggi; anche in questo caso però re-

stiamo nell’ambito delle congetture plau-

sibili ma non comprovabili.

Pure sull’

origine dell’etnonimo Taurini,

o Taurisci

, risulta esistere, già nelle fonti

antiche (Catone, Polibio, Strabone, Pli-

nio) un certo grado di confusione; l’unico

elemento che sembra accomunare tutte le

testimonianze è la loro collocazione geo-

grafica in ambito alpino; è quindi plau-

sibile che il termine stesse a indicare non

tanto un gruppo etnico definito, quanto

appunto un insieme di tribù accomunate

dallo stanziamento nei territori posti in

prossimità dell’arco alpino.

La fondazione di Augusta Taurinorum

e i primi secoli dell’impero

L’attenzione di Roma per il quadrante

nord-occidentale dell’Italia settentrionale,

a nord del Po, fu tardiva. Nel 100 a.C. ven-

ne fondata la colonia di

Eporedia

(Ivrea),

base militare delle campagne contro i

Salassi, stanziati tra alto Canavese e Valle

d’Aosta, nel cui territorio si trovavano le

importanti e redditizie miniere d’oro della

Bessa controllate proprio dai Salassi. In se-

guito – prima con

Cesare

nella prospettiva

della conquista gallica e poi con

Augusto

nel suo disegno di espansione verso il cen-

tro-nord Europa, e in particolare verso la

Germania – il sito alla confluenza di Po e

Dora divenne strategicamente importante

come retrofronte attrezzato per gli eserciti

che si dirigevano a ovest verso il passo del

Monginevro, e a nord verso i colli del Pic-

colo e del Gran San Bernardo.

La

fondazione della colonia

di

Augusta

Taurinorum

si data oggi tra il 25 e il 15

a.C., periodo durante il quale Augusto si

dedicò alla “pacificazione” delle Alpi. Con

il drastico ridimensionamento del suo

progetto di portare i confini centroeuropei

dell’impero fino al corso del fiume Elba,

in seguito alla disfatta romana nella selva

di Teutoburgo (9 d.C.), anche l’importan-

za di

Augusta Taurinorum

nell’ottica della

politica imperiale diminuì notevolmente.

La città non è più menzionata nelle fonti

letterarie, fatta eccezione per alcuni spora-

dici casi legati a episodi che videro il mo-

vimento di truppe transfrontaliere, come

ad esempio la menzione in Tacito del bur-

rascoso passaggio delle coorti di Vitellio

durante la guerra civile del 69 d.C., suc-

cessiva alla morte di Nerone. L’archeologia

e le iscrizioni ci permettono di confermare

l’esistenza di un centro urbano con una

discreta vitalità in ambito locale: nel I e II

secolo d.C. sono attestati, a livello epigra-

fico, artigiani dediti alla

lavorazione di ve-

tri e metalli

e alla

produzione di laterizi

e vino

, nonché numerosi soldati, sparsi in

tutto l’impero, originari di

Augusta Tauri-

norum

. Nel contempo, non pochi abitanti

della colonia testimoniano una condizione

di progressivo miglioramento del proprio

status sociale e si ha notizia di personaggi

che ebbero una carriera politica non sol-

tanto in ambito locale, ma anche – seppur

in casi molto rari – a livello imperiale.

All’

aristocrazia taurinense

appartennero

due famiglie, almeno un paio di membri

delle quali, Caio Rutilio Gallico e Quin-

to Glizio Atilio Agricola, risultano avere

raggiunto i vertici della carriera senatoria

e avere rivestito cariche politiche e militari

di alto livello fra l’età claudia (Gallicus ini-

zia la carriera nel 43-44 e Glizio Barbaro

dedica un monumento a Claudio nel 48) e

l’età traianea (Agricola, riveste il consolato

per la seconda volta nel 103). Sappiamo

per certo, inoltre, che quantitativamente

la popolazione cittadina non dovette mai

superare le poche migliaia di unità.

Per quanto si riferisce all’

impianto ur-

banistico

, la fortunata sopravvivenza di

molti tratti della cerchia delle mura del-

la città romana consentono di definire le

dimensioni di

Augusta Taurinorum

, che

occupava uno spazio rettangolare di circa

700 x 750 m (2400 x 2555 piedi romani,

per un’area corrispondente a circa 50 etta-

ri, equivalenti a una

centuria

romana) con

l’angolo nord-est tagliato in diagonale:

questo tratto obliquo delle mura, situato

in corrispondenza degli odierni Giardini

Reali, può essere stato imposto dalla pros-

simità allo sbalzo di quota del terrazzo flu-

viale. Delle quattro porte principali poste

a capo del cardine massimo, ricalcato dalle

vie San Tommaso e Porta Palatina, e del

decumano massimo, l’attuale via Garibal-

di, si conservano la Porta Palatina e quella

inglobata in Palazzo Madama. La trama

delle strade era regolare e riflessa nella ca-

denza delle torri di cortina, ma i moduli

degli isolati risultano leggermente variabi-

li. Caratteristica è l’

ortogonalità del reti-

colo viario

dell’attuale “Torino quadrata”,

che ancora riflette l’assetto romano, ma

va considerato che in buona parte è frut-

to dei “dirizzamenti” della seconda metà

del Settecento, che riallinearono le facciate

sulle principali arterie stradali modificate

in epoca medievale, e dei “risanamenti”

ottocenteschi del superstite tessuto medie-

vale, che invece aveva alterato nei secoli il

disegno urbano originale.

Fino a ora le ricerche archeologiche non

hanno restituito contesti significativi per

il periodo iniziale della colonia e quasi

nulla sappiamo dell’impianto urbano al

momento della sua fondazione. Risalgo-

no certamente all’epoca augustea le prime

semplici strutture del teatro e nei decenni

seguenti si collocano sia i primi interventi

di costruzione della

cinta muraria

, uno

dei maggiori segni lasciati dall’impianto

romano alla città moderna, sia la ristruttu-

razione del

teatro

, trasformato in un edi-

ficio più complesso e dotato di un portico

dietro la scena (

porticus post scaenam

). Non

sappiamo dove si trovasse il foro, centro

nevralgico della vita pubblica di ogni città

romana, forse po-

sto in corrispon-

denza dell’attuale

piazza Palazzo di

Città.

In questa prima

fase le abitazioni,

di cui conosciamo

solo pochi e fram-

mentari elementi,

erano edifici molto

semplici e di scarsa

qualità e le infra-

strutture urbane erano praticamente assenti.

Negli

ultimi decenni del I secolo d.C

.

(età flavia) viene ultimata la cortina mura-

ria e a ridosso del lato orientale si formano

presto zone di discarica, sia all’interno del-

le mura, sia all’esterno, dove si raccolgo-

no anche i rifiuti delle attività artigianali

urbane, forse impiantate nelle vicinan-

ze. Contemporaneamente viene avviata

un’importante ristrutturazione urbana

che vede la realizzazione di un’articolata

rete fognaria e, probabilmente, dell’acque-

dotto; le strade vengono pavimentate con

grosse pietre e una via pubblica larga tra

i 55 e i 60 piedi romani corre all’interno

lungo tutto il circuito murario. Fuori dalle

mura, a sud ovest, doveva probabilmente

sorgere un anfiteatro di cui però non si

conservano le tracce archeologiche, men-

tre sulle rive del Po, in corrispondenza

dell’odierna piazza Vittorio, un grande

Sulle rive del

Po, nell’odierna

piazza Vitto-

rio, un grande

magazzino (

hor-

reum

) accoglie-

va le merci che

giungevano per

via fluviale