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dersi cavalli, armi, equipaggio di campagna, gli eran però mancati i soldi pel palazzo»;

l'arredo delle sale è privo di sfarzo, disseminato di oggetti di uso corrente. La sala ove

riceve la marchesa è in penombra: «in quelle tenebre visibili, dell 'intonazione d 'un

quadro di Rembrandt, si vede e non si vede un mondo di forme indecise», una

madonna d'autore, immagini di santi e di sante, ritratti di antenati severi, in abiti sette–

centeschi, del direttorio, napoleonici, un crocchio di poltrone e sedie per gli ospiti cir–

conda la padrona di casa che fa la calza, «calze grosse per i poveri». La conversazione

in piemontese, presenti un generale e un capitano nobili, una contessa e un abate, ini–

zia in tono cupo per i timori che da trent'anni provengono dalla Francia, prosegue col

rimpianto del buon tempo antico, si conclude con uno scambio di informazioni sulle

malattie di amici e di pettegolezzi sui conoscenti

13 .

Era assai dimesso, dunque, il salotto aristocratico torinese negli anni della Restaura–

zione stereotipato da Massimo d'Azeglio. La realtà fu probabilmente in parte diversa,

senza voler negare il clima e lo spirito retrivo, bigotto, misoneista, opprimente, ma

anche con la consapevolezza che le trasformazioni e la maggiore mobilità introdotte

nella società piemontese durante il governo napoleonico non potevano più essere can–

cellate

14 •

In verità, quando si porrà mano finalmente allo studio, pure per Torino, dei salotti

e circoli napoleonici e della Restaurazione, non li si potrà estrapolare dalla più genera–

le tendenza all'integrazione piuttosto che alla contrapposizione tra l'aristocrazia terrie–

ra e gli strati superiori della borghesia, dopo l'annessione del Piemonte alla Francia

nel 1802. Né si potrà prescindere dalla formazione di una nuova burocrazia come ceto

con caratteristiche peculiari, e nemmeno dal diverso rapporto degli intellettuali con lo

Stato, pur con molte sfaccettature, dalle figure provenienti dalla grande aristocrazia

illuminata ai dotti formatisi nella cornice dell'illuminismo moderato; dagli uomini vec–

chi, già inseriti nelle strutture istituzionali dell' antico regime, agli uomini nuovi, lette–

rati, gazzettieri, medi e piccoli borghesi destinati a divenire veri e propri funzionari

del regime napoleonico. Inoltre non si dovrà trascurare la nuova dislocazione di Tori–

no nella geografia culturale dell'impero, ridotta a una città di funzionari, gazzettieri

minori,

grand commis

attivi soprattutto altrove, sia per la lontananza dalla prestigiosa

capitale della Francia a cui il Piemonte fu annesso, sia per la concorrenza, nel nuovo

circuito culturale realizzato al di qua delle Alpi, del centro indiscusso della politica e

luogo di massima attrazione, Milano

15 .

Infine, affrontando i salotti e i circoli torinesi in

età napoleonica, sarà altrettanto inevitabile misurarsi col problema del consenso, nelle

sue oscillazioni, nella forza coercitiva maggiore o minore con cui veniva alimentato,

nelle differenze tra ceti e gruppi: per lo più ostile la nobiltà, grande e media proprieta–

ria terriera, con poche adesioni convinte al nuovo stato di cose, non molte adesioni di

circostanza, una larga fascia di accettazione passiva, una nettamente maggioritaria

componente avversa. Altrettanto contraria e legata al mondo nobiliare era una parte

non piccola del clero:

Nobili, preti, esponenti delle professioni, ex alti funzionari sabaudi si incontravano in vari luoghi

per sparlare e inventare notizie preoccupanti o - dicevano i poliziotti - per complottare: i "club"

innanzi tutto cioè riunioni in alcune case, opportunamente sorvegliate dall'esterno per evitare

improvvise ir;uzioni; poi c'erano le

bi~che,

ove, tra un gioco d'azzardo e l'altro, si

.cOl:ci~nava

.

e.si

facevano circolare notizie; venivano quindi le veglie di preghiera in comune nelle abItaZIOnI patf1Zle;

e infine, più prosaicamente, i caffè, le botteghe dei cioccolatieri e

d~

q.ue~

ar~ig~ani

che d.a t.empo

avevano stretti rapporti con i ceti elevati, ebanisti, carrozzieri, drapplen: mmUSlen,.tappezzlen, par–

rucchieri, decoratori, armaioli. Non mancavano i retrobottega, le sacrestle, le canonIche

16

.

13

Ibidem,

pp.

325-346.

14

ROSARIO ROMEo,

Dal Piemonte sabaudo all'Italia

liberale,

Torino, Einaudi,

1964,

pp.

5-57.

15

M. CERRUTI,

Le

buie tracce

cit., pp.

57-63;

e, più in

generale,

lo.,

Dalla fine dell'antico regime alla Restaurazio–

ne,

in

Letteratura italiana,

diretta da Alberto Asor Rosa,

voI.

I,

Illetterato e le istituzioni,

Torino, Einaudi,

1982.

16 UMBERTO LEVRA,

Un consenso mancato: torinesi e

francesi di fronte

in GIUSEPPE

B~CCO

(a cura di)

VIlle.

de Turin

1798- 1814, TOrIno, ArchlV10 StorICO della Citta

di Torino,

1990,

voI. II, p.

217

e, più in generale,

214-

221.

105