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l

Frequentatori del salotto Barolo.

Disegni a matita, eseguiti dalla marchesa Giulia di Barolo negli anni 1820-

1830 (Torino, Opera Barolo, Archivio) .

morte di Carlo Tancredi, il salotto di Giulia di Barolo che, dopo illaicismo e il razio–

nalismo degli

idéologues

con venature giacobine di Ottavio, la nuora aveva riconvertito

al più rigoroso spirito della Restaurazione e all'ostilità all' evoluzione del Piemonte in

senso liberale. Ciò non significa che da quel salotto fosse bandito lo spirito di tolleran–

za e di confronto e che esso si riducesse a un cupo rimpianto del passato. La stessa

marchesa, dopo aver guidato con vigore le conversazioni e incutendo spesso soggezio–

ne, si lasciava andare e schizzava con abile mano gustose caricature dei presenti, alti

funzionari, nobili, preti, avvocati, qualcuno ancora in parrucca e codin02

1 .

Tra il 1849 e l'Unità vi fu, a Torino, anche una esplosione di salotti borghesi, i quali

furono spesso un altro dei luoghi dell' amalgama tra piemontesi e immigrati politici:

quello di Olimpia Rossi sposata all' avvocato Savio, poi nobilitato col titolo di barone

di Bernstiel, quello di Enrichetta Cornero Caldani, quello

di

Giulia Molino Colombi–

ni, quello di Laura Beatrice Mancini Oliva

22 •

Piuttosto che proseguire in una elencazione generica, è preferibile ritornare sull' as–

senza di rigide demarcazioni sia all'interno della società dei salotti - già sottolineata-,

sia all'esterno, rispetto ad altre forme di sociabilità. Da questo secondo punto di vista,

riesce difficile stabilire dei confini sostanziali e non solo formali tra la funzione che si

svolgeva nel salotto, quella nel palco a teatro, quella al circolo, quella al caffè: non

aveva torto Stendhal quando nel 1816 affermava che la Scala era il salotto

di

Milano. E

tuttavia in certi momenti storici il travaso da un luogo

all'

altro fu più evidente: in tale

ottica, si può fondatamente sostenere che nel 1848 a Torino il posto dei salotti e dei

circoli fu preso dai caffè.

Alcune premesse sono necessarie, per meglio comprendere tale esplosione quaran–

tottesca. La prima è che il caffè «politico» rispecchiava un preciso momento, diverso

dal caffè settecentesco in cui magari si discuteva di principi generali e di pubblica uti–

lità, ma diverso pure dal caffè del Novecento, quando una politica più professionaliz–

zata e specializzata userà altri strumenti per formare un' opinione, politicizzare dei

gruppi sociali, canalizzarli entro momenti organizzativi

23 •

Non solo il caffè della politi-

21

FULVIO DEGIORGI,

I marchesi di Barolo e la società

subalpina del primo Ottocento

e GIAN PAOLO ROMAGNANI,

I Barolo e

il

mondo accademico w rinese fra Sette e Ottocen–

to ,

entrambi in

I marchesi di Barolo e il loro tempo,

Torino,

Opera Barolo,

1996,

pp.

11-15, 22-23, 47 -55 ;

FILIPPO CRI–

SPOLTI,

Il cinquantenario della morte della marchesa di

Barolo

19

gennaio

1864-1914, in appendice a

La

marchesa

Giulia Falletti di Barolo nata Colbert. Memorie di Silvio

108

Pellico,

Torino, Tip. San Giuseppe degli Artigianelli,

1914,

pp.

140-142; V.

BERSEZIO,

Il regno di Vittorio Emanuele II

cit.,

EP.

18-26.

2

Ibidem,

pp.

27 -35;

R.

RICCI,

Memorie della barones–

sa Olimpia Savio

cit., voI. I, pp.

71 -212;

voI.

II,

pp.

95-101.

23

MARIA MALATESTA,

Il caffè e l'osteria,

in MARIO

ISNENGHI (a cura di),

I luoghi della memoria,

volume

Strutture ed eventi dell'Italia unita ,

Roma-Bari, Laterza,