Table of Contents Table of Contents
Previous Page  188 / 556 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 188 / 556 Next Page
Page Background

senza grossi conflitti, tanto che le prime misure di impronta controriformista intese ad

aggravare pesantemente la loro condizione sarebbero state poi assunte dai Savoia con

un notevole ritardo rispetto ad altre città italiane come Roma (1555) o Firenze (1570).

Già si è fatto cenno alla decisione di recludere i 750 ebrei di Torino in un unico luogo

rigorosamente delimitato, il ghetto, presa il2 agosto 1679 da Maria Giovanna Battista

di Savoia-Nemours reggente del Ducato in nome del figlio minorenne. L'altro passag–

gio decisivo era stato quello segnato nel 1723 dalla promulgazione delle

Regie Costitu–

zioni

da parte di Vittorio Amedeo II, con le quali le limitazioni imposte dagli

Statuti

di

Amedeo VIII erano state riprese e codificate in forma più rigida: in tutto lo Stato gli

ebrei dovevano sottomettersi a un regime di dura segregazione che impediva loro rela–

zioni troppo strette con i cattolici, era loro vietato possedere qualsiasi bene immobile,

svolgere la gran parte delle professioni, escluso il prestito a interesse e alcune forme di

commercio; era nel contempo ribadito l'obbligo di un pesante tributo e della residen–

za nei ghetti istituiti ormai in quasi tutte le maggiori località del Ducato. Tali iniziative

avevano contribuito peraltro a creare una crescente ostilità da parte della maggioranza

cattolica, destinata a esprimersi attraverso ripetute accuse agli ebrei di omicidio rituale

ed episodi ricorrenti di conversione forzata.

L'arrivo dei francesi alla fine del '700 aveva imposto a quel punto una svolta radica–

le. Improvvisamente agli ebrei era stata concessa, da un imprevisto intervento esterno,

la parità dei diritti. Di conseguenza essi avevano potuto confrontarsi per tutta l'età

napoleonica con una situazione radicalmente mutata quanto a opportunità economi–

che, a

status,

ma soprattutto ai rapporti con

il

resto della popolazione e con il potere.

Gli uomini incontrati da Brofferio nel 1817, al di là delle apparenze, erano dunque

molto diversi dai loro antenati di cento o anche solo di cinquant'anni prima: erano

uomini che, pur segnati da un duro passato di discriminazione, avevano provato il

gusto della libertà e difficilmente lo avrebbero potuto dimenticare.

Certo, da soli due anni, ancora una volta in forma improvvisa e repentina, la restau–

razione imposta da Vittorio Emanuele I dopo la caduta dell'impero napoleonico li

aveva nuovamente costretti a soggiacere alle antiche interdizioni. A emblema di quel

ritorno al passato era stato reintrodotto l'obbligo di chiudere i cancelli del ghetto per

tutta la notte. Per la maggioranza degli ebrei - i più poveri - la vita ritornò ad essere

quella di un tempo. Ad alcuni tuttavia il sovrano si dimostrava ora disposto a fare

qualche concessione: a prorogare ad esempio

il

diritto di possedere i beni immobili

acquistati negli anni di libertà del governo napoleonico o anche a quello di risiedere

fuori dal ghetto. Si trattava di casi isolati ma pur sempre indicativi di una realtà che,

per gli ebrei come per gli altri sudditi del Regno, non poteva ormai più essere racchiu–

sa rigidamente negli schemi

dell'Ancien Régime.

La stessa durezza con cui i Savoia

pretesero di reimporre agli ebrei i divieti di un tempo rese tanto più evidente il contra–

sto fra

il

Piemonte e, d'altro lato, i vari stati italiani - come ad esempio il Granducato

di Toscana o anche il Lombardo-Veneto - dove gli ebrei godevano ormai in forma

irreversibile di diritti molto più ampi. Anche quel contrasto era un segno dei tempi, di

cui peraltro nel ghetto di Torino si era ben consapevoli grazie alle frequenti relazioni

che,intercorrevano fra le diverse comunità ebraiche della penisola.

E un fatto però che il caseggiato di contrada San Filippo in quei travagliati decenni

di primo Ottocento manteneva immutati i suoi caratteri essenziali. Era e rimaneva un

luogo ristretto e affollato nel quale ci si muoveva lungo percorsi tortuosi e bui. L'in–

gresso principale immetteva nel cosiddetto Grande cortile (la

Court granda).

Di qui si

poteva accedere, attraverso un passaggio coperto chiamato i Portici oscuri al Cortile

della vite; di qui ancora vi era un'uscita su via d'Angennes - l'attuale via Principe

Amedeo - o, in alternativa, un'apertura verso il Cortile detto dei preti (la

Court di

galahim)

,

ex chiostro di un antico convento, dotato anch'esso di un'uscita, questa

volta su via Bogino. Per un percorso tortuoso lungo scale, anditi e interni di alloggi,

dal Cortile della vite si poteva arrivare all'altro Cortile detto della terrazza

(d

J

la tràsa)

156