

Cancello superstite dell'ingresso principale del
ghetto degli ebrei, nell' antica contrada di San
Filippo, ora via Maria Vittoria 12 (foto David
Vicario, 1998).
con uscita pure in via Bogino. Il Cortile della terrazza a sua volta riconduceva, per
mezzo di un altro passaggio coperto, al Cortile grande.
Lì
era il vero nodo di comuni–
cazione del ghetto, il vero centro della comunità. Sulla
Court granda
guardavano,
occupando rispettivamente il secondo e il terzo piano, il tempio di rito italiano, il più
importante, gli uffici dell'amministrazione e il
Talmud Torà
(la scuola); in un ambiente
sotterraneo
lì
accanto stava anche il bagno rituale. Nel Cortile della vite era invece
situato il piccolo tempio di rito spagnolo; nel Cortile della terrazza si trovava il forno
per la cottura delle azime. La gran parte della vita degli ebrei si svolgeva in quei luo–
ghi; gli ingressi secondari venivano chiusi al crepuscolo, quello principale alle
21.
Tutto l'isolato constava di tre piani, oltre al pianterreno e all'ammezzato. Ogni spa–
zio disponibile era adibito ad alloggi, con un tasso di affollamento altissimo: nel
1832
nei 527 locali per lo più assai angusti del Ghetto grande - distinto dal Ghetto nuovo,
sito in uno stabile adiacente, più piccolo e affacciato su piazza Carlina, venutosi ad
aggiungere nel 1750 per fronteggiare le recenti immigrazioni e l'incremento demogra–
fico - risiedevano
212
famiglie per un totale di
1189
individui. Verso i cortili e nei pas–
saggi il piano terra era occupato da negozi adibiti alla vendita di oggetti usati, abiti,
polli, carni
cashèr
e altri oggetti di immediata utilità. Per passare da un cortile all'altro
si dovevano attraversare anche delle abitazioni invadendo lo spazio privato di questa o
quella famiglia; i ballatoi erano il prolungamento del pianerottolo di casa e, come le
scale, fungevano da luoghi di sosta, di conversazione o di gioco per i bambini, Essen–
do murate le finestre verso strada, le abitazioni prendevano luce e aria solo dai cortili e
risultavano in tal modo umide e insalubri. In generale derivava da tutto questo una
diffusa condizione di promiscuità all' origine di tensioni e conflitti continui.
Il ghetto di Torino viveva essenzialmente di piccolo commercio, una parte del quale
- quello dei negozi migliori - serviva le famiglie signorili della città che ricorrevano
agli ebrei per i vestiti dei domestici, per i rammendi o per la vendita di capi usati. La
maggior parte dei clienti erano però gente del popolo che si recava nel ghetto alla
domenica o nei giorni delle festività più importanti. In quelle occasioni arrivavano
anche molti contadini del circondario che si affollavano ai cancelli di contrada San
157