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Corte, il Conservatore generale delle regie caccie - e l'altro che istituÌ a Torino il Magi–

strato di cassazione con sezioni civili e penali

8 .

Certamente tali riforme legislative e istituzionali riguardanti il settore giudiziario,

per poter essere realmente applicate, avevano bisogno di tutta una serie di strumenti e

di infrastrutture, tra cui un' adeguata organizzazione carceraria che si conformasse alla

disciplina dettata dal Codice penale del '39, cioè di graduazione delle pene in propor–

zione ai reati

9 ,

in modo da mirare soprattutto alla correzione e al recupero del colpe–

vole, piuttosto che a una semplice repressione.

Fin dal 1833 Carlo Alberto aveva promosso una serie di prowedimenti per un

generale piano di ristrutturazione delle prigioni, che doveva svilupparsi parallelamen–

te alla preparazione del codice penale. A Torino , in particolare, il problema della

riforma carceraria trovò dei promotori in uomini come Cesare Alfieri e Cesare Balbo

- che nel 1833 furono incaricati dal re di fare uno studio sulle condizioni e sulle possi–

bilità di miglioramento degli istituti di reclusione in stretto collegamento con la Com–

missione di legislazione penale, che contemporaneamente stava elaborando il primo

libro del corrispondente codice

lO -,

in Giovanni Eandi - direttore delle carceri centrali

prima di Saluzzo, poi di Pallanza, poi di Alessandria -, in Giovenale Vegezzi e in Ila–

rione Petitti di Roreto. Quest'ultimo fu autore di quella che si può considerare una

delle prime teorizzazioni organiche del problema carcerario con la sua opera

Della

condizione attuale delle carceri e dei mezzi di migliorarla,

uscita nel 1840 presso l'edito–

re Pomba

ll

.

Non va dimenticato, inoltre, il grande contributo dato al miglioramento

delle condizioni di vita nelle carceri femminili dalla marchesa Giulia Falletti di Barolo,

che fu una fra le prime in Europa a occuparsi di questi problemi

l2 .

Tutti costoro,

come numerosi altri studiosi europei

13 ,

in linea di massima concordavano sul basilare

concetto di instaurare una prigione non solamente repressiva, bensÌ anche correttiva,

che guidasse il criminale verso il rawedimento, attraverso l'introduzione del lavoro

obbligatorio e dell' educazione religiosa. L'attuazione pratica di questi princìpi era

strettamente legata alla scelta del miglior sistema da adottare per ottenere una prigio–

ne veramente correttiva; a sua volta la scelta del sistema auburniano o filadelfiano -

entrambi sperimentati in America - presupponeva una programmazione totalmente

diversa per l'edilizia carceraria, per il personale di sorveglianza e per tutta l'organizza–

zione interna della prigione.

Il primo, infatti, prescriveva per i detenuti l'isolamento in celle separate durante la

notte e di giorno l'esecuzione di un lavoro in comune, con l'osservanza, però, del più

rigoroso silenzio. I detenuti avevano la possibilità di passeggiare, di partecipare alle

sacre funzioni e di mangiare insieme, ma sotto la rigida sorveglianza dei guardiani,

affinché non fosse mai infranta la regola disciplinare del silenzio. Il sistema filadelfia–

no, invece, prescriveva per i reclusi un continuo isolamento in cella sia diurno, sia not–

turno.

In

Piemonte, alla fin fine , la riorganizzazione dell'edilizia carceraria si ispirò al

modello d'Auburn, molto probabilmente anche perché la sua attuazione risultò essere

meno costosa, richiedere minor spazio e soprattutto risultò permettere l'adattamento

di numerosi stabili già esistenti.

Nella Torino prequarantottesca i luoghi in cui di fatto «girava» il motore della com–

plessa macchina giudiziaria erano i tribunali e le carceri: i primi rappresentavano il

posto in cui si «rendeva giustizia», mentre le seconde, oltre a servire da luoghi di

8

Regi editti, n. 636 e 638, in

Raccolta degli atti del

governo

cit.,

pp. 345-350 e 369-403 .

9

Codice penale per gli Stati di

s.M.

il

Re di Sardegna,

Torino, Stamperia Reale, 1839, libro I, art!. 13 -38.

IO

Si veda in proposito la lettera del ministro degli

Interni Tonduti de l'Escarène al guardasigilli Giuseppe

Barbaroux in data 23 marzo 1833 , conservata in

ARCHI–

V10 DI

STATO

DI

TORINO, Corte,

Materie economiche, Car–

ceri in genere,

mazzo 3 da inventariare.

Il

Ora anche pubblicata in CARLO ILARIONE P ETITTI

DI

RORETO,

Opere scelte,

a cura

di

G IAN MARIO BRAVO, Tori–

no, Fondazione Luigi Einaudi, 1969, voI. I, pp. 319-587.

12

Su di lei si veda ROSA MARIA BORSARELLI ,

La

mar–

chesa Giulia di Barolo e le opere assistenziali in Piemonte

nel Risorgimento,

Torino, G . Chiantore, 1933.

13

Per un inquadramento dei dibattiti italiani all'inter–

no

di

quelli europei si rimanda a P . CASANA T ESTORE,

Le

rzforme carcerarie

cit., p. 308 e sgg.

189