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Giovanni. Egli aveva denunciato molte imperfezioni alla Congregazione amministra–

trice, sempre pronta a giustificarsi facendo appello al suo spirito caritatevole a fronte

della legge inesorabile dei grandi numeri: «stante il progressivo aumento della popola–

zione di questa Capitale, rendendosi sempre maggiore il numero degli infermi» che si

presentavano , era costretta a mantenerli «per non lasciarli perire nella contrada»13.

Infatti , dai 49.562 ricoverati tra il 1828 e il 1837 - erano 9929 al Mauriziano e 964 al

an Luigi - il San Giovanni era passato a una media annua di 5500-6000. Tuttavia

qualche miglioramento fu realizzato se con tale movimento di malati, che avevano

ordinariamente a disposizione circa 450 posti, la mortalità del 9,87 per cento rilevata

dalla

Statistica Medica

era scesa al 7,50 per cento verso la fine degli anni quaranta.

li

risultato era stato raggiunto nonostante la «discreta parsimonia nella prescrizione dei

medicinali»: un criterio spesso raccomandato quando si trattava di assistenza ai pove–

ri , previsto pure dalla Compagnia di San Paolo per i medici della beneficenza

l4

Vi

aveva contribuito pure qualche correttivo che l'amministrazione era riuscita ad appor–

tare, nonostante le frequenti lamentele per il patrimonio insufficiente: arricchendo il

vitto, da sempre trascurato; ampliando l'ospedale per migliorare la distribuzione dei

malati e le condizioni igieniche; incrementando il servizio infermieristico con !'intro–

duzione delle suore, addette anche alla sorveglianza generale

l5 .

I 26 letti per i pensio–

nari non mutavano però la tradizionale fisionomia del nosocomio di grande contenito–

re dell'infermità povera: aperto a qualunque sesso (il Mauriziano era ancora riservato

agli uomini) , età, provenienza e religione, ma soltanto alle «malattie sanabili» che con–

sentivano una degenza media di 20 giorni. Erano ammessi solo quei cronici in «perico–

lo prossimo della loro vita», in attesa di altra collocazione. L'intervento del sovrano,

punto di partenza di una ricognizione di tutte le opere pie della capitale e della rifor–

ma del 1836, comportò pure per

il

San Giovanni l'avvio di un processo di modernizza–

zione, con

il

potenziamento della sua funzione sanitaria e clinica. Ma ciò non corrispo–

se alla priorità del ruolo dei medici nella gestione dell'ospedale. La dialettica del «con–

servare svecchiando» fu subito evidente dalla divisione paritetica della Congregazione

amministratrice fra laici ed ecclesiastici e dalla presidenza ancora affidata all' arcivesco–

vo; non deve quindi stupire se il regolamento del 1842 imponeva ancora ai professori

una richiesta scritta al rettore spirituale per poter eseguire le autopsie. Sull'affermazio–

ne della clinica continuò a pesare un conflitto di potere e competenze tra ospedale e

Università che si trascinava dal secolo precedente: giunse a una prima composizione

nel 1832-1833 quando l'Università si impegnò con un finanziamento annuo a «conci–

liare

il

bene dell'istruzione cogl'interessi dell'ospedale». Essa dovette limitarsi a desi–

gnare i professori della clinica e il chirurgo assistente addetto alla sorveglianza degli

allievi che, come al Mauriziano, facevano pratica svolgendo il servizio flebotomico. Gli

allievi , da sempre accusati di indisciplina, furono sottoposti a controlli più severi e

ammessi solo «previo concerto con la Congregazione» che si era riservata la nomina di

medici e chirurghi ordinari e dei medici assistenti. Fino al 1848 i malati del San Gio–

vanni poterono fare affidamento sulla grande perizia del Riberi: figura di primo piano

della chirurgia torinese della prima metà dell 'Ottocento, aveva suggerito a Carlo

Alberto di unificare medicina e chirurgia in un 'unica facoltà , e praticato l'eterizzazio–

ne sin dal 1846. Tuttavia negli anni quaranta persistevano diverse inadeguatezze. La

Congregazione recriminava che la rotazione degli allievi «favoriva la preparazione» dei

giovani, «ma diminuiva la possibilità di creare una salda struttura medica ospedalie–

ra». I medici dovevano essere richiamati a impiegare «tutto il tempo necessario nella

IJ

A T,

Sez.

l ',

Materie ecclesiastiche, Opere pie per

comuni e borgate,

m. 23 1 d'addizione, fase.

Opera ed ospe–

dale di

5.

Luigi 1820-37,

copia lettera del 13.1.1834; TIRSI

M ARIO CAFFARATIO,

L'Ospedale Maggiore di San Giovan–

ni Battista e della Città di Torino. Sette secoli di assistenza

socio-sanitaria,

Torino, USL 1-23 , 1984.

14

G .

CASALlS,

op. cit.,

p. 662;

ASCT,

Carte sciolte,

202

nn. 681 -682;

Collezione Simeom ,

C 8952,

Brevi cenni sto–

rici e statistici dell'Ospedale Maggiore di San Giovanni

Battista della Città di Torino,

Torino, Tipografia Botta,

1854.

15 SILVIO SOLERO,

Storia dell'Ospedale Maggiore di

San Giovanni Battista e della Città di Torino,

Torino, Fal–

ciola, pp. 152-176; U. LEVRA,

op. cit.,

p. 105.