

In
tutt'
altra direzione continuava invece a operare il canonico Cottolengo: perse–
guendo l'unico criterio della povertà priva di assistenza, l'ospedale di San Vincenzo
era aperto a ogni infermità, curabile o meno, comprese quelle contagiose. L'ospitalità
della Piccola Casa della Divina Prowidenza era estesa pure a coloro che, già guariti,
non avevano di che sostentarsi. Tale eterogeneità non sembra però aver compromesso
la funzione specificamente sanitaria dell'ospedale che coniugava la dimensione carita–
tevole (medici e chirurghi vi prestavano servizio gratuito) con «ogni sorta di attrezza–
ture sanitarie e chirurgiche», senza cercare risparmi sui farmaci. Capace di
170
posti,
tra il
1832
e il
1840
l'ospedale registrò una mortalità attorno al 10 per cento su
4187
malati, che disponevano di un «corpo sanitario di prim'ordine» e della consulenza abi–
tuale del Riberi 23 . Le suore della Carità, che in quel decennio, grazie anche al forte
appoggio di Carlo Alberto, avevano conquistato tutti gli ospedali di Torino, vi eserci–
tavano la farmacia e le operazioni di bassa chirurgia dopo aver superato il controllo
del Protomedicato: nel
1830
fu in Italia
«il
primo esempio di esame da infermiere
sostenuto per essere abilitate ad assistere gli infermi»24 . Al di là del tono spesso cele–
brativo di molte fonti , in verità
il
rapporto tra bisogno e offerta di assistenza risultava
spesso deficitario. Per le sue caratteristiche l'ospedale del Cottolengo sanava, almeno
in parte - e copriva - le carenze del sistema sanitario torinese 25 . Non a caso, grazie
all'appoggio di governo e sovrano, poté contare su una corsia privilegiata addirittura
per poter inviare annualmente 90 poveri infermi alle cure termali di Acqui, da tempo
appannaggio dei benestanti. Essa fu occasione per il medico della Casa, il dottor Gra–
netti, di svolgere «una prima vera attività clinico scientifica [... ] sperimentale» su
diverse affezioni, a partire da quelle scrofolose da cui erano colpiti molti tra quei
ragazzi al di sotto dei
16
anni che ne furono i principali fruitorF6.
Dunque, persino in una condizione così variegata, quale era nel suo complesso
quella della Casa del Cottolengo, la scienza medico-chirurgica si era aperta un varco di
rilievo. Seppure in modo disomogeneo, con isole privilegiate e situazioni frenate dal
peso di contraddizioni irrisolte, verso la metà del secolo gli ospedali torinesi erano
ormai awiati a diventare i luoghi della malattia, della medicina e della formazione del
personale sanitario. Proprio per questo si erano ormai aperti pure all'utenza agiata,
nonostante le condizioni igieniche e sociali della città e dei suoi abitanti continuassero
a perpetuare
il
tradizionale legame tra miseria e malattia.
23
[bid.
pp. 728-732; D.
ACCHI,
op. cit.,
pp. 124-127;
LORE ZO G RA ETII,
Prospetto clinico-chirurgico della Pic–
cola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspicii di San
Vincenzo de' Paoli dall'origine sino a tutto l'anno
1840,
Torino, Paravia, 1841;
A UGUSTO G ALLASSI,
La
chirurgia
nell'ospedale della "Piccola Casa della Divina Provvidenza"
nel periodo risorgimentale,
in
A tti del secondo Congresso
italiano di storia ospitaliera,
Torino-St. Vincent, 7-9 giu-
206
gno 1961 , Ciriè, Tip. Capella, 1962.
24 GIOVA NI
Do
A D'OLDENICO,
Il primato sociale
del Cottolengo nell'assistenza ospitaliera ed ospedaliera del
Risor! imento,
in
Atti
cit., pp. 96-133 .
2
U.
L EVRA,
L'altro volto di Torino risorgimentale
cit., p. 117;
G. M.
BRAVO,
Torino operaia
cit.,
pp. 152-
153.
26 G . BERGOGLlO,
op. cit.,
pp. 93- 110, 119-122, 164.