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Le

istituzioni militari

di Fabio Degli Esposti

Al ritorno dei Savoia nei loro domini di terraferma, le forze armate ricevettero

molte attenzioni nel processo di riorganizzazione dello stato, sia per il desiderio di Vit–

torio Emanuele I di liberarsi al più presto della pesante tutela austriaca, sia per la

volontà di disporre di uno strumento che, come nel passato, avrebbe consentito alla

dinastia sabauda di giocare un ruolo sempre più importante negli equilibri politici

della penisola italiana.

Alla luce di questo obiettivo la politica militare piemontese nel trentennio che va

dalla Restaurazione alla prima campagna risorgimentale può essere letta in termini di

continuità. Per parecchio tempo gli storici militari hanno diviso i decenni che vanno

dalla Restaurazione al Risorgimento in tre fasi, coincidenti con i regni dei sovrani che

si succedettero sul trono sardo: Vittorio Emanuele, come detto, si sarebbe impegnato

attivamente nella riorganizzazione delle forze armate, ma i suoi sforzi sarebbero stati

frustrati dal fratello Carlo Felice, mentre l'attività di riforma sarebbe stata particolar–

mente intensa durante il regno di Carlo Alberto

l .

In realtà le differenze non paiono

così rilevanti: analizzando ad esempio i bilanci delle aziende militari, il periodo di

Carlo Felice non fece registrare riduzioni significative della spesa militare - al contra–

rio, il sovrano dedicò attenzioni particolari alla flotta -, mentre per quanto riguarda il

regno di Carlo Alberto si deve osservare che le sue riforme si concentrarono soprattut–

to nei primi anni di regno.

Indubbiamente gli interventi riorganizzativi ispirati dal Carignano hanno richiama–

to le maggiori attenzioni, anche perché fu sulla base dell'ordinamento albertino che le

truppe piemontesi intrapresero la guerra del 1848. L'avvenuta trasformazione costitu–

zionale non ebbe conseguenze sull'organizzazione delle forze armate: l'unica novità di

qualche rilievo fu la decisione, sancita dall'articolo 76 dello Statuto e posta in esecu–

zione quello stesso 4 marzo 1848, di creare la Guardia nazionale o, come veniva chia–

mata nei documenti ufficiali, la Milizia civica. Si trattava di una formazione di ispira–

zione borghese (significativa in questo senso la necessità di un censo minimo per poter

essere iscritti nei registri di matricola) che ricalcava, nei suoi assetti formali, la Guardia

nazionale francese di origine rivoluzionaria, ma inserita in un contesto assai diverso.

Non sorprende quindi che nel nostro paese essa abbia avuto un successo assai mode–

sto, non riuscendo mai ad assumere un significato politico di qualche riliev0

2 .

Tornando ai provvedimenti di riforma, alcuni di essi risentono, evidentemente,

9el

dibattito in corso a livello europeo sull'organizzazione generale delle forze armate. E il

caso della creazione del Corpo dei bersaglieri, una fanteria leggera che si richiamava

1

Ricordiamo ad esempio

NICOLA BRANCACCIO,

L'e–

sercito del vecchio Piemonte (1560-1859) . Gli ordinamenti,

Roma"Libreria dello Stato, 1925, 2 voll.

2

E significativo riportare uno stralcio dell'art. 1 del

decreto istitutivo della milizia comunale: «Ogni delibera–

zione presa dalla Milizia comunale intorno agli affari

dello Stato, della provincia e del comune è una offesa alla

libertà pubblica ed un delitto contro la cosa pubblica e

con tro lo Statuto».

Editto della milizia comunale,

in

«Giornale militare», 1848, p. 53. Ma anche in numerosi

altri articoli vengono posti dei limiti ben precisi all'attività

della Guardia nazionale. Sulle vicende torinesi di questa

milizia si veda LUIGI MUSSI,

La guardia nazionale a Torino

(1 848-1877), Torino, Arduini Teat, 1977.

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