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all'esempio dei famosi zuavi francesi, ma soprattutto del nuovo ordinamento dell'eser–

cito attuato fra il 1831 e il 1833 . Esso introduceva, al fianco di un consistente nucleo

,

.

di professionisti, numerose classi di «provinciali», cioè di elementi di leva, tenuti sotto

le armi per un periodo breve - 14 mesi - trascorso il quale essi sarebbero passati

prima a un congedo illimitato di sette anni (con la possibilità di essere richiamati per i

campi d 'istruzione) e poi, per altri otto anni, nella riserva. L'idea del sovrano era,

com'è noto, quella di sposare l'efficienza di un esercito «di caserma» di tipo francese

alla possibilità di mobilitare, in caso di necessità, forti contingenti di leva, come avve–

niva invece nell'esercito prussiano.

Su questo «modello prussiano perfezionato» nel complesso negativo è il giudizio

degli storici, che ne hanno sottolineato fra l'altro i problemi organizzativi. Ad esempio

non prevedeva la formazione dei quadri dei reparti che sarebbero stati costituiti al

momento della mobilitazione, e manteneva palesi ingiustizie nel meccanismo di reclu–

tamento: non era infatti prevista alcuna «levata di massa», e solo gli elementi inseriti

nei vari contingenti annuali erano soggetti alla chiamata, anche nel caso in cui avessero

moglie e figli

3 •

Soffermeremo ora la nostra attenzione su un settore particolare dell'esercito pie–

montese, il Corpo reale d'artiglieria, e, nell' ambito di questo, su quel gruppo di uffi–

ciali che svolgevano la loro attività nell' ambito degli arsenali, allora tutti concentrati a

Torino.

L'artiglieria sabauda poteva vantare tradizioni gloriose, soprattutto per il livello cul–

turale e scientifico dei suoi membri: tutti ricordano i nomi dei Bertola, di De Vincenti,

di Papacino d 'Antoni, di Nicolis di Robilant, di Angelo Saluzzo. E da più parti si è

insistito sul legame diretto esistente fra le Scuole di Artiglieria e Fortificazione, le

Scuole Teoriche e Pratiche di Artiglieria e la fondazione dell'Accademia delle Scienze

di Torino. Fu insomma anche attraverso questo gruppo di militari-scienziati che le

idee dell'illuminismo e le tendenze più innovative del panorama scientifico e culturale

europeo cominciarono a filtrare anche nell 'arretrata realtà piemontese

4 .

All'indomani della Restaurazione il contesto era fortemente cambiato; pur nell'am–

bito di una riaffermazione della preminenza aristocratica, che proprio in una sorta di

«militarizzazione» della classe dirigente trovava una chiara espressione, le esigenze

della modernità non potevano essere disattese. Ad esempio, nella ricostituzione delle

forze armate, si era dovuto far ricorso in misura massiccia a elementi che avevano ser–

vito sotto le bandiere di Napoleone. Per i militari delle «armi dotte» si profilavano

compiti strettamente connessi con la realtà economica. Se ormai si era consumata la

separazione fra ingegneria civile e ingegneria militare (significativamente, l'Azienda di

Artiglieria, Fabbriche e Fortificazioni cambiava la propria denominazione in Artiglie–

ria , Fortificazioni e Fabbriche militari), si ribadiva e si rafforzava il legame con un

altro corpo tecnico, quello degli ingegneri delle miniere5.

Ma è soprattutto alle trasformazioni economiche in atto a livello europeo, e alla

rapida evoluzione della tecnologia degli armamenti che si deve la crescente importan–

za dell'artiglieria nell' ambito delle forze armate piemontesi. Anche se solo a partire dal

1848 i suoi uomini (Giuseppe Dabormida e Alfonso Lamarmora in primo luogo) giun–

sero ai vertici dell'apparato militare, possiamo dire che essi assunsero questo ruolo in

virtù delle esperienze e delle relazioni maturate negli anni precedenti.

3

Si vedano le osservazioni di PIERO PIERI,

Storia mili–

tare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni,

To rino,

Einaudi, 1962; CARLO BAUDINO,

Le istituzioni militari del

Piemonte,

in

Storia del Piemonte,

Torino, Casanova, 1960,

pp. 431-484.

4

A questo proposito sono da ricordare soprattutto

il

lavoro di VINCENZO FERRONE,

Tecnocrati militari e scien–

ziati nel Piemonte dell'Antico Regime alle origini della

Reale Accademia delle Scienze di Torino,

in «Rivista stori-

296

ca italiana», n . 2 (1984), pp. 414-509, e quello di WALTER

BARBERIS,

Le armi del principe. La tradizione militare

sabauda,

Torino, Einaudi, 1988, in particolare le pp. 188-

233 .

5

Ibid. ,

pp. 275-277 e 289-291. Per un panorama più

generale sull'attività degli ispettori delle miniere si rinvia

a MARIO ASRATE,

L'industria siderurgica e meccanica in

Piemonte dal

1831

al

1861, Torino, Comitato di Torino

dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1961.