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indusse almeno una parte dei ceti dirigenti milanesi, a lungo, in precedenza, propensi

a guardarla con sufficienza, a identificare nella capitale sabauda, dalla metà del decen–

nio prerivoluzionario in poi, il luogo di rispecchiamento delle proprie aspirazioni.

All'inizio del

1843

la prima notizia in proposito; poi, in un rapido crescendo, infor–

mazioni sempre più fitte e ricorrenti sui progressi di un' associazione che nel giro di

appena un anno lievita da 800 a più di 2500 soci 15 ; le cronache da Torino redatte tra il

1844

e il

1847,

infine, dedicate ormai in misura larghissima, anche se non esclusiva–

mente, agli ulteriori sviluppi dell'Associazione agraria. Ma perché?

L'onda montante dello «spirito d'associazione», al cui interno quell'istituzione si

collocava, in realtà in quegli anni si levava con grande forza anche a Milano. Ed anzi,

nel capoluogo lombardo essa era per molti versi ancora più pronunciata che nel capo–

luogo subalpino. Ma il fatto

è

che nella Milano degli anni quaranta l'associazione-faro

era la Società per l'incoraggiamento delle arti e dei mestieri, il teatro d'azione di un

uomo come Carlo Cattaneo, nella sua veste non ancora politica di operatore culturale

ed economico. E quell'istituzione era essenzialmente l'irradiazione della borghesia

della produzione e dei traffici, la cifra espressiva di uno strato sociale che attraverso di

essa rivendicava il proprio diritto a occupare la scena pubblica, in alternativa non solo

al dispotismo del governo, ma anche all' egemonia sociale e culturale di un' aristocrazia

magari tiepidamente liberale, ma pur sempre determinata a conservare intatta la pro–

pria supremazia di ceto. L'associazionismo a guida borghese negli aristocratico-liberali

di Milano destava diffidenza, se non ostilità.

Viceversa l'Associazione agraria subalpina - così come, in generale, l'intero mondo

associativo torinese - al lettore della «Rivista europea» pareva testimoniare di un' aper–

tura allo spirito dei tempi realizzata secondo modalità che consentivano da un lato la

perduranza della guida aristocratica sulla società civile, dall' altra il proficuo connubio

tra questa e il potere costituito.

Associazione agraria subalpina (ma anche, Società degli amici delle belle arti): lo

«spirito d'associazione» torinese era a netto predominio nobiliare; quello coevo mila–

nese no. Il primo sembrava, per più di un verso, presentarsi come una sorta di adatta–

mento ad abiti e stilemi nuovi della vecchia società di corte; rappresentava la prova

della conciliabilità tra progresso civile, centralità aristocratica e carisma regio. Ai con–

vegni dell'Associazione agraria i reali erano idealmente presenti in prima fila, nelle

persone dei funzionari di corte che li rappresentavano 16 ; e ad essi partecipavano attiva–

mente ministri e figure di governo, insieme agli esponenti della nobiltà a ranghi larghi

ed entusiastici, come «la graziosissima contessa Marianna di Salasco [che] dopo di

essersi fatta iscrivere nell'Associazione Agraria, volle quindi convitare con nobile

generosità il congresso nel suo gran palazzo ad uno splendido dejeuner à la fourchet–

te»17. Mentre, d'altro canto, le esposizioni della Società degli amici delle belle arti ave–

vano luogo «in varie sale cortesemente offerte dal conte Benevello, benemeritissimo

presidente della Società»18.

Viste da Milano, e specialmente con gli occhi dell'

entourage

aristocratico-liberale

che si raccoglieva dietro alla «Rivista europea», le novità torinesi degli anni quaranta

parevano insomma declinarsi secondo moduli confortanti, di cui sarebbe stato vano

negli stessi anni andare alla ricerca nel capoluogo ambrosiano. Torino si rivelava così

improvvisamente seduttiva per çhi auspicava un progresso moderato e socialmente

inoffensivo; da un lato, infatti, il governo vi si mostrava disposto a dialogare con i set–

tori egemoni della società civile, dall' altro quest'ultima restava dominata dai ceti agrari

e aristocratici.

15

RE, gennaio 1843, p. 149 e II semestre 1844, p. 447.

16

RE, ottobre 1843, p. 115. Ma si veda anche RE, I

semestre 1845, p. 445 , dove Emilio Balbo Bertone mar–

chese di Sambuy esternò sentimenti «d'immensa gratitu–

dine verso il re Carlo Alberto, che, dopo aver protetta ed

incoraggiata la nostra associazione in mille modi, volle

accoglierla con somma magnificenza nella deliziosa real

villa di Pollenzo, e dare così una splendida prova della

sollecitudine colla quale provvede alla felicità dei suoi

popoli».

17

RE, settembre 1844, p. 398.

18

RE, settembre 1845, p. 121.

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