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«L'Annotatore piemontese», «L'Emporio delle utili cognizioni», l' «Italia», «Il Reper–

torio medico-chirurgico», la «Gazzetta Piemontese» e

il

noto «Repertorio d'Agricoltu–

ra» di Rocco Ragazzoni, che raccolse nel Granducato una decina di adesioni. A tali

periodici si aggiunse, durante gli anni quaranta, l'altrettanto seguita «Gazzetta della

Società Agraria Subalpina» e i più diffusi giornali politici.

L'afflusso di un così vasto ventaglio di pubblicazioni, nella stragrande maggioranza

dei casi d'ispirazione liberale, e la mediazione operata da Vieusseux, che si legò a per–

sonaggi come Vincenzo Gioberti, Giuseppe Grassi, Federico Sclopis, Massimo d 'Aze–

glio e Cesare Balbo, produssero l'effetto di modificare nuovamente i contorni della

raffigurazione della società torinese, facendone il luogo di una immaginata sociabilità

aperta alle istanze della categoria ottocentesca del "progresso»; anzi ritraendo la sua

aristocrazia nelle vesti di un attento soggetto politico, solerte nel fare pressione sul

giovane sovrano Carlo Alberto. Esistevano infatti molteplici tratti comuni tra i gruppi

liberaI-moderati toscani e quello torinese, isolabili nell' attenzione al problema di un

efficace pedagogismo sociale, come testimoniano i contatti con Ludovico di Breme e i

numerosi articoli dedicati dalla «Guida dell'educatore» di Raffaello Lambruschini alle

esperienze torinesi, nelle somiglianze rispetto ad un condiviso modello economico - si

pensi ai legami con Cavour e Petitti di Roreto - e nell' analoga visione dei rapporti fra

potere statuale ed ecclesiastico. Comuni erano anche i connotati del sapere medico, al

cui interno un animato dibattito fu stimolato dalla grande epidemia di vaiolo che colpì

Torino tra il 1829 e il 1830 e altrettanto vicini erano i termini della discussione agraria,

che accostava Ridolfi a Matteo Bonafous ed Emilio Bertone di Sambuy. Si profilava

invece una evidente differenza sul piano della compiuta definizione di un vocabolario

specificamente politico.

In questo senso un ruolo cruciale svolse, agli occhi di molti toscani, la vicenda di

Cesare Balbo, a Firenze fin dal 1808 appena diciannovenne, con l'importante carica di

Segretario della napoleonica Giunta di governo della Toscana e assiduo frequentatore

di palazzo Capponi. Proprio con il giovane marchese fiorentino, e con la collaborazio–

ne di un altro nobile piemontese, Carlo Vidua, Balbo aveva concepito, durante la sua

permanenza fiorentina, l'idea di creare un 'accademia toscana che ricalcasse il modello

di quella torinese dei Concordi

8 .

Dopo la restaurazione lorenese, i contatti proseguiro–

no e si intensificarono a metà degli anni quaranta, quando Balbo spedì a diversi amici

fiorentini alcune copie delle sue note

Speranze d'Italia,

suscitando un acceso dibattito,

mentre la distribuzione commerciale dell'opera, promossa ancora una volta da Vieus–

seux, veniva immediatamente bloccata dalla censura granducale

9 •

Particolarmente

intenso fu lo scambio di opinioni con Giuseppe Montanelli, con il quale si avviò

durante il triennio 1844-1846 un fitto scambio epistolare, che ebbe evidenti ricadute

sulla formazione politica del docente pisano

10.

Lo stesso Montanelli, inoltre, come del

resto diversi altri toscani conservavano ottimi rapporti anche con Lorenzo Valerio, che

con Vieusseux progettò diverse imprese editoriali volte ad avvicinare le due realtà

regionali sul piano delle iniziative pedagogiche.

All'incirca nel medesimo periodo, nell'estate del 1843, prese consistenza anche la

candidatura di Vincenzo Gioberti per la cattedra di Filosofia morale dell'Università di

Pisa, motivata dal provveditore Giulio Boninsegni per la «grandezza» del recente

Pri–

mato.

La proposta fu tuttavia respinta dall'autorità granducale, che deliberò una stret–

ta vigilanza sulla diffusione della medesima opera giobertiana, così come aveva già

fatto per

l'Ettore Fieramosca

di d'Azeglio, stampato a Firenze da Luigi Pezzati solo

dopo lunghissime trattative con la Segreteria di Stato, che aveva negato un 'eguale con–

cessione alla tipografia livornese di Glauco Masi. Ancora più spinosa fu , come è ovvio,

8 ROBERTINO GHIRJNGHELLl,

Un'amicizia difficile nel

dibattito sul nuovo stato nazionale: Cesare Balbo e Gino

Capponi,

in

Gino Capponi

cit., pp. 141-142.

9 ACHILLE D E R UBERTIS,

Studi sulla censura in Tosca-

na,

Pisa, Lischi, 1936, pp. 422 -423.

lO

GIUSEPPE M ONSAGRATI ,

Dalla poesia alle riforme: il

dibattito fra Giuseppe Montanelli e Cesare Balbo,

in <<Ras–

segna Storica Toscana» , 1980, pp. 93- 113.

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