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Il Gallicanesimo (padre dei liberali) - scriveva nel 1835 il Campodonico - , il quale ha dato ai Princi–

pi quell'infallibilità, che ha negato ai Papi,

è

qui penetrato ben addentro nelle midolla di quasi tutti

coloro, da' consigli de' quali dipendono

il

più delle volte le regie deliberazioni

8 .

Di queste tendenze giansenistiche l'incaricato d'affari pontificio dava un significa–

to, più che di carattere religioso, prettamente politico, in quanto esse si ponevano il

fine di ridurre 1'autorità della Chiesa entro lo Stato più che combattere apertamente il

cattolicesimo:

Quando dico giansenista - asseriva ancora monsignor Campodonico - non intendo parlar di gente

che professino espressamente la dottrina di Giansenio, e compagnia: la maggior parte di costoro

ignorano pienamente quelle dottrine, né curano punto di saperle. Ma per giansenista intendo quelli

che covano odio contro l'autorità della Chiesa, e massime della Sedia apostolica, e poi di rimbalzo

insidiano all'autorità de' Sovrani, fra' quali e il Pontefice tentano di tenere sempre accesa, benché

occulta la diffidenza. Essi poi vanno alloro scopo sotto

il

manto della più seducente ipocrisia, e si

fanno scudo di loro virtù per combattere contro alla Madre, non già fra i nimici, ma fra i figli, all'in–

terno della Casa.

L'arme più potente che usano, si è

il

promuovere alle Sedi vescovili, o persone della Setta, o, se

alcuna volta a tanto non giungono, mettere attorno a' vescovi buoni, ma incauti, consiglieri fraudo–

lenti, animati dal loro spirito, e pronti a cospirare col medesimo fine. Il Piemonte

è

pieno di siffatti

vescovi

9 .

Tali tendenze, secondo l'incaricato d'affari pontificio, costituivano un pericolo per–

ché avevano presa nella gioventù colta attraverso gli insegnamenti impartiti all'Univer–

sità, in mano al partito avverso alla Chiesa. Infatti, mentre nelle facoltà di Teologia e di

Giurisprudenza prevalevano rispettivamente il giansenismo e illiberalismo, in quella

di Medicina, non meno «immune dalle maligne influenze del secolo»,

il

materialismo

«infetta[va] qual più qual meno non pochi professori»lo.

Neanche gli atteggiamenti fideistici di Carlo Alberto riuscivano a rassicurare del

tutto l'incaricato d'affari pontificio. Infatti se egli riteneva da un lato «cosa consolante

il

vedere che S. M. Sarda va ogni dì più mostrando energia, perché il pensiero della

religione sia

il

primo nel governo de' suoi Stati»ll, dall' altro ammetteva con rammari–

co che la pietà personale del re sarebbe stata di qualche conforto

se non fosse implicitamente unita con molta debolezza, e poi con una lagrimevole incostanza, per

cui Egli in poco d'ora vuole e disvuole la medesima cosa, secondo che l'efficacia del primo a parlare

è superata dalla furberia del secondo

l2 .

L'evoluzione successiva della linea politica di

C~rlo

Alberto e della stessa organizza–

zione dello stato sabaudo fino alla guerra del 1848 confermavano le apprensioni del-

8

Campodonico a Bernetti,

12

ottobre

1835,

Riservata

s.n.,

ibid..

«I ministri buoni», proseguiva l'incaricato pon–

tificio, «son due:

li

S.'

c e

della Margherita, e il S.'

c e

di

Pralormo, a' quali si può aggiungere il S.'

c e

Della Torre,

Governatore di Torino, e Presidente del Consiglio. Questi,

dico, san buoni di massime e di costumi, ma incapaci, qual

per una qual per altra ragione, di fare il bene, che incontri

forti ostacoli, e d 'impedire il male, che non mostri sulla

fronte tutta la sua bruttezza: in somma, se non m'inganno

son di quelli che, di buona fede, servono a Dio per amor

del Sovrano, e non al Sovrano per amor di Dio». Alcuni

mesi prima monsignor G izzi, che aveva preceduto monsi–

gnor Campodonico in qualità d'incaricato d'affari pontifi·

cio, aveva espresso al segretario di Stato di Gregorio

XVI

un giudizio senz'altro più lusinghiero nei confronti del

conte Solaro della Margarita, «uomo di principi veramente

eccellenti in politica non meno che in religione» (Gizzi a

Bernetti, Torino,

9

febbraio

1835,

n.

211 ,

ibid.).

9

Ibidem.

lO

Campodonico a Lambruschini, Torino,

23

aprile

1836,

n.

128,

ibid.,

busta

514,

fase.

4.

«Sua Maestà il Re di

Sardegna», scriveva ancora l'incaricato d'affari pontificio,

«[vuole] sinceramente apportar rimedio a tutto il disordi–

ne; ma disgraziatamente vedendolo egli solo in parte, le

misure da lui proposte non sono tali da condurlo al bra–

mato scopo. Egli s'immagina il veleno scaturir solamente

dalle cattedre di Teologia, laddove per verità quella di

Filosofia, del Diritto Pubblico e Civile, e delle altre scien–

ze ne sono ugualmente infette; e vi

è

qui una specie di

provàbio che per avanzar nella carriera gli Eccl[esiasti]ci

hanno da essere giansenisti, e li avvocati liberali» (Cam–

podonico a Lambruschini, Torino,

22

marzo

1836,

ibid.,

busta

515,

fase.

8).

Il

Campodonico a Lambruschini, Torino, 9 maggio

1837,

n.

268,

ibid..

12

Campodonico a Lambruschini, Torino,

lO

settem–

bre

1838,

riservata,

ibid.,

busta

515 ,

fase.

5.

Peraltro il

giudizio dell 'incaricato pontificio, seppure da un'angola–

tura opposta, convergeva con il noto adagio di Domenico

Carbone sul

Re Tentenna,

e con il giudizio storico più

maturo sull 'amletico re di Sardegna (si veda

ADOLFO

OMODEO,

La leggenda di Carlo Alberto nella recente sto–

riogra/ia,

in

DIfesa del Risorgimento,

Torino, Einaudi,

1951 ,

pp.

156-234).

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