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Torino vista da Roma

di Carlo M. Fiorentino

Torino e i torinesi godevano di buon credito tra i maggiori esponenti laici ed eccle–

siastici dello Stato pontificio, e forse anche questa considerazione ebbe un certo peso

nell' orientare molti liberali di quelle regioni in senso filosabaudo nei momenti cruciali

della lotta per l'indipendenza nazionale nell848-49 e nell859-60, al di là del ruolo di

«sentinella d'Italia» che

il

regno di Sardegna si era ritagliato nel corso dell'ultimo se–

colo e mezzo nelle contese internazionaW. Luigi Carlo Farini, futuro dittatore della

Romagna e presidente del Consiglio dell'Italia unita, si recò nella capitale piemontese

nella primavera dell846. In una lettera dello giugno all'amico avvocato Angelo Berti–

ni di Lucca egli manifestava tutto il suo entusiasmo per 1'atmosfera che vi aveva subito

respirato e tutta la sua comprensione per l'azione politica seguita sino allora da Carlo

Alberto:

Non trovo parole per significare quanto mi sia rimasto satisfatto ed edificato di Torino. Due fatti

rari dappertutto e forse unici in Italia ho visti qui. Primo la confidenza e la concordia fra Governan–

ti e Governati. Secondo la attuale fusione ed intelligenza de' migliori fra la casta aristocratica co'

migliori del terzo stato. Il Re favorisce simigliante concordia, e sicuramente ama e favorisce

il

mode–

rato progresso, ma non vuole che persona o popolo gli forzino la mano, come dir si suole.

È

fiero

della indipendenza del suo Stato, e lo provano gli atti recenti, ma anche nel sostenere questa e nel

protettorato o dogato morale, che tu voglia appellarlo, della nazionalità italiana, suole procedere

con misura.

Pare ad alcuni che Ei potesse fare di più; ma ciò può parere di lontano, da vicino no. Perché oltre

gli imbarazzi diplomatici,

il

dare sesto a' quali è per lo meno sempre una lungheria, un pensiero

grave, vi sono in ogni paese degli imbarazzi speciali, che a prima giunta possono parere leggeri, ma

che in fatto noI sono, perché tengono alle tradizioni, ai legami del sangue, a comunanze di interessi,

e che so io. Oltrediché vi può essere e vi è forse una certa peritanza, una tal quale suspicione intor–

no a certe idee, che da molti anni hanno servito di programma alle genti, che si spacciavano missio –

narii della rigenerazione del popolo e della patria.

In conclusione, amico mio, qui si procede con retti fini, qui non si retrocede; ma non bisogna darsi

ad intendere che si voglia procedere a grandi salti. Anche andando adagio si fa lunga via. Per arriva–

re a mèta determinata,

il

tutto sta nel prendere le mosse in buon punto, e per arrivare abbastanza

presto, bisogna andare per la strada retta. Cammin facendo i muscoli prendono lena, e spesso si

danno circostanze, per le quali si compie in due anni quel viaggio, che vi pareva costarne dieci. Per

me ti assicuro che, se fossi Piemontese, seconderei in tutto e per tutto le attuali tendenze del Gover–

no, e ti assicuro che essendo Italiano, non posso che desiderare che si calmino tutte le impazienti

l

Sul mito del Piemonte alla vigilia del 1848 e dopo

l'Unità: UMBERTO LEVRA,

Fare gli Italiani: memoria e cele-

brazione deLRisorgimento,

Torino, Comitato di Torino

dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 1992.

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