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smanie, e che ognuno intanto faccia quei passi che può su quella retta via, colla fede di arrivare alla

mèta, e colla speranza di arrivarvi presto; se Dio aiuterà

2 .

In particolare nelle sue frequentazioni torinesi il Farini si diceva «innamorato (alla

lettera) di Balbo», che riteneva «uno dei pochi uomini di gran fama che, veduti da

vicino, ingrandiscono invece di impicciolire, come soventi avviene»3. Insomma, tanto

era l'entusiasmo di quel soggiorno, del modo semplice e schietto con cui era stato

accolto da quella popolazione che gli sembrava «di essere sempre stato a Torino»4.

Se quelli del Farini erano giudizi di un liberaI-moderato esasperato dalle tensioni

politiche e sociali vissute nella sua terra di Romagna,

il

quale aveva forse trovato nella

capitale di Carlo Alberto

il

proprio ambiente ideale; anche nella gerarchia ecclesiastica

non fu forse di secondo piano nel superare le sue antiche diffidenze verso la figura del

Carignano e verso

il

movimento liberaI-nazionale - almeno fino all'Allocuzione del 29

aprile

1848 -

quella spontanea stima che suscitava in essa la sobria popolazione di

Torino. Le notizie che giungevano a Roma per mezzo dei diplomatici pontifici tende–

vano ad accreditare della capitale sabauda !'immagine rassicurante di una città, non–

ché estranea ai moti insurrezionali che dal

1831

al

1834

avevano scosso il regno di Sar–

degna

5 ,

anche impermeabile a qualsiasi influenza che proveniva dai suoi ambienti

governativi di più dubbia ortodossia politica e religiosa.

Una riprova della fedeltà dei torinesi ai valori tradizionali della religione si era

avuta nell 'estate del

1835

con l'epidemia colerica, che aveva colpito la loro città in

misura meno violenta di altri centri del regno, sia per l'opera di prevenzione della poli–

zia, che aveva

raddoppiato di vigilanza nel procurare la maggior nettezza della città, nel tener lontani dai pubblici

mercati tutti i cibi men che saluberrimi, e nel porsi

in

misura da tener fronte coi pronti soccorsi

all'epidemia, in caso che si venisse a svilupparé,

sia proprio per la particolare devozione religiosa della sua popolazione:

I più savi, - scriveva monsignor Campodonico, incaricato d'affari pontificio nella capitale sabauda, –

attribuiscono questo felice avvenimento alla pietà dimostrata da questo popolo, ed al ricorrer ch'han

fatto , e in privato ed in pubblico, al patrocinio della Vergine Madre, a cui la città si è legata con

solenne voto

7 .

E tuttavia, se la popolazione di Torino si mostrava perlopiù affezionata alla Chiesa e

ai valori della tradizione cattolica, una certa inquietudine suscitavano nella diplomazia

pontificia le tendenze politiche e religiose che allignavano tra i membri della classe

dirigente e negli ambienti universitari.

2

Epistolario di Luigi Carlo Farini,

a cura di LUIGI

RAVA, Bologna, Zanichelli, 1911 , voI. I, pp. 456-457.

3

«Anima più bollente non ho mai vista», aggiungeva,

«né testa più ordinata e più forte. Moderato di idee, non

è

secondo ad alcuno in vigore ed energia di sentimento,

coraggioso sovra a tutti»

(ibid. ,

p. 459).

4

[bid.

Tali giudizi entusiastici del Farini sulla popola–

zione torinese erano in parte temperati da una successiva

lettera a Eugenio Giorgi: «uomini positivi quanto dire si

possa; operosissimi, tenaci nella volontà; ma non molto

espansivi» (lettera del lO giugno 1846,

ibid.,

p. 464).

5

Si veda P IETRO NEGRI,

La cospirazione piemontese

del

1833

secondo

i

carteggi della diplomazia romana,

in

«Rassegna storica del Risorgimento», a. XI (1924), pp.

545-602. Sul giudizio positivo e alquanto convenzionale

relativo alla popolazione di Torino quale risulta dai car–

teggi e dalle testimonianze della classe dirigente piemon–

tese del tempo, ma anche di turisti e diplomatici, che cor–

rispondevano soltanto relativamente alla realtà, molto più

articolata e contraddittoria, si veda UMBERTO

LEVI~,

L'al-

432

tra volto di Torino risorgimentale,

1814-1848, Torino,

Comitato di Torino dell'Istituto per la Storia del Risorgi–

mento Italiano, 1989,

passim.

6

Campodonico a Bernetti, Torino,

17

agosto 1835 ,

n. 48, in ARCHIVIO Sl"GRETO VATICANO (d 'ora in poi

ASV),

Segreteria di Stato. Esteri,

busta 514, fase. 3. La

situazione della capit ale sub alpina non poteva dirsi

comune alle altre città d'Italia, e in particolare proprio

alla capitale dello stato della Chiesa. Scriveva a questo

proposito ancora l'incaricato d'affari pontificio: «E pro–

vato dall'esperienza, che il morbo infierisce, dove trova

più sudiciume. In Roma pertanto, che non

è

la più pulita

delle città, massime in certi rioni, credo che l'influenza

vi farebbe grande strage, se giungesse,

il

ciel non voglia,

e penetrarvi» (Campod oni co a Bernetti , T orino, 25

luglio 1835 , n. 42,

ibid.) .

7

Campodonico a Bernetti, Torino, 7 ottobre 1835 , n.

68, ibid..

Ciò era d'auspicio, secondo l'incaricato d'affari

pontificio, alla stessa popolazione di Roma, «che non la

cede a nessuno nella Divozione alla Madonna».