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Nel caso di quello che sarebbe divenuto il più convinto sostenitore della fusione

politica con il Piemonte, Bettino Ricasoli, le cautele sabaude ben incarnavano invece

una sorta di abitudine mentale alla conservazione degli equilibri, tanto cara al barone

di Brolio. «Non vi è dubbio che il popolo tutto debba concorrere alla civile impresa:

ma il debito che per tutti è lo stesso - scriveva in apertura de «La Patria» -, ciascuno

deve adempiere secondo il posto in cui la Provvidenza lo pose. Ora egli è certo che

alle persone agiate e in particolare ai maggiori possidenti, scarichi d'ogni altra briga,

tocca l'obbligo di farsi primi e franchi cooperatori al riordinamento civile»21.

L'immagine dell'ordinata società torinese, con l'aristocrazia ancora attivamente ege–

mone e propensa a fare della politica il luogo privilegiato di mantenimento dello

status

quo,

innovandone unicamente le forme , era attentamente coltivata dalla speculare

élite

toscana, che iniziava a nutrire, in diversi dei suoi esponenti, qualche dubbio sulle

capacità del proprio sovrano di assolvere a simili, fondamentali compiti.

Neppure la spinosa questione della Lunigiana, parzialmente ceduta al duca di

Modena, nel dicembre del 1847, nonostante le proteste diffusesi per tutta la Toscana e

le suppliche, inascoltate, indirizzate a Carlo Alberto per un intervento, modificarono il

quadro

22

,

che non fu scosso neanche durante i primi mesi del 1848, quando la stessa

zona divenne oggetto di contesa diretta fra regno di Sardegna e Granducato. A soffia–

re sul fuoco dell'unitarismo scendeva in campo infatti, dalla tarda primavera di quel–

l'anno «Il Conciliatore», animato da Galeotti, Tabarrini e Capponi, apertamente filo–

piemontese sul versante della politica estera, ventilando un regno dell'alta Italia e con–

testando qualsiasi progetto di unificazione in chiave democratica. La nuova paura

"rivoluzionaria" collaborava ora a far volgere lo sguardo a Torino, città di cui colpiva

la tranquillità nelle turbolenze del momento. La crescente agitazione della piazza, il

sommovimento sociale, che costringeva Ridolfi addirittura alla fuga dal paese, e la dit–

tatura d'ispirazione repubblicana erano pericoli esplosi a Roma, a Milano, a Venezia,

ma non nella capitale sabauda, unita dietro il proprio re; la ricorrente e rassicurante

immagine dell' ordine torinese si riaffacciava davanti alle

élites

toscane. La dura restau–

razione postquarantottesca da una parte e il proclama di Moncalieri dall' altro avreb–

bero accelerato i tempi di questa attrazione.

21

«La Patria» , 2 luglio 1847.

22 EUGENIO P ASSAMONTl,

Il liberalismo toscano e

i

suoi

rapporti con Cesare Balbo e il suo gruppo durante la questio–

ne tosco-modenese per

il

possesso della Lunigiana dall'otto-

430

bre al dicembre

1847,

in

«Il

Risorgimento Italiano», n.s.,

1920,

pp.

23 -56, ID.,

Unitarismo ed antiunitarismo nel par–

tito liberale toscano durante la campagna del

1848,

in

«Ras–

segna Storica del Risorgimento», 1918,

pp.

505-543.