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no la propria morale condotta, e che risulteranno non appartenere a famiglie già aven–

ti banco nei mercati, o recinti». In questo messaggio al commercio torinese Cavour

aveva in mente un solo principio: il mantenimento di un decoro che si estendesse dai

costumi delle rivenditrici, all'uso dello spazio urbano, alla formazione di un'etichetta

del commercio decente. Le rivenditrici non avrebbero potuto che avere piccole ceste,

facili da portare con un braccio solo, non servirsi di «tavolini, panche e simili» e conti–

nuare a passeggiare, oneste e silenziose, senza soffermarsi «sotto od a capo ai portici,

sovra alcuna delle piazze nelle contrade di Po, e d'Italia» o comunque di altri luoghi

vicini ai mercati. Non avrebbero potuto neppure circolare in piccoli gruppi o in cop–

pia, né posare «in suolo pubblico i propri cesti salvo pel tempo ristrettivamente neces–

sario a pesare gli erbaggi». Rispettose del divieto di richiamare i clienti, sembravano

davvero rappresentare l'ideale del contadino incivilito dalla capitale, ancora vestito,

con semplicità, dei costumi del paese ma più per confermare una nostalgica memoria

rustica che per ribadire un attaccamento effettivo a poco eleganti pratiche rurali. Di

nuovo si precorrevano qui le virtù tipiche del piccolo commerciante con bottega,

ancora sanzionato da Cavour (costui non poteva infatti vendere cibi freschi tranne

«cipolle, aglio e patate») ma sempre più destinato a essere l'unico soggetto sociale a

poter realizzare, in vece delle ambulanti, quell'idillico e torinesissimo quadretto di

bel

deuit

che tanto sembrava piacere al nobilissimo Benso

lO•

Davide Bertolotti, acuto osservatore della vita torinese all'inizio degli anni quaran–

ta, non si era lasciato sfuggire il carattere essenziale, insieme urbanistico, etico ed este–

tico delle rilevanti riforme del decennio precedente. Scrivendo un lungo e originale

pezzo sui mercati della città nella sua

Descrizione di Torino

(il primo di questa consi–

stenza nelle guide ottocentesche della città) aveva osservato entusiasta come la capitale

sabauda fosse non soltanto «l'emporio del Piemonte» ma sede di un commercio «pri–

vato, grande, piccolo e minuto, suddiviso in mani quasi infinite». Ma soprattutto ca–

ratterizzato da forme di decenza e modernità che non aveva quasi paragone fuori dei

confini piemontesi:

I

mercati delle derrate alimentarie stanno ordinariamente nelle parti centrali delle città, ed ivi gli ha

fatti naturalmente collocare la maggior comodezza de' cittadini che in quelli si debbono giornal–

mente rifornire delle cose necessarie al lor vitto. Nondimeno quanto ingombro essi vi rechino, e

quanto sudiciume, e quanta calca e pressa e trambusto, non è chi noI sappia. La forma

di

Torino, e

la non grande estensione de' raggi che partono dal suo centro, han conceduto di operare in questa

città un'ardita innovazione che forse in niun luogo s'incontra.

E il compiacimento vittoriano di Bertolotti non si fermava qui: «Molte città, per

ogni altro verso nitide e belle, veggono tuttora la sozzura delle beccherie od almeno la

vendita delle sanguinolenti carni nelle loro strade anche più frequenti ed adorne. Tori–

no n'è affatto disgombra». I mercati della carne e degli alimentari erano posti gli uni

vicini agli altri per maggiore comodità, collocati sotto salubri tettoie e li governavano

«provvidi e salutari r egolamenti» a causa dei quali «si loda in generale la nettezza ed il

buon ordine» del commercio torinese. Un'unica mancanza si faceva ancora sentire,

ma poetica e gentile: «Solo si desidera tuttora che venga aperto un mercato dei fiori, il

quale e per l'eleganza della costruzione e per l'attrattiva

di

questa vaghissima merce,

accresca adornatezza alla bella Torino»ll .

Bertolotti, specialista nei progetti fantastici che avrebbero dovuto trasformare la

capitale sabauda in un luogo

di

eleganze,

di

vivere civile e

di

decoro, sottovalutava,

lO

TI marchese Michele Benso

di

Cavour, 16 dicembre

1843

in

ASCT,

Editti e mamf esti,

1847, voI. LIII, c. 211.

loro guida

Torino e suoi dintorni

pubblicata da Carlo

Schiepatti, ricordavano 14 mercati principali di generi di

prima necessità, tutti concentrati tra piazza Carlo Felice,

piazza Carlina,

il

piazzale del Borgo Dora, piazza Ema–

nuele Filiberto, la piazza d 'Arme vecchia, i viali della Cit–

tadella e la piazza Susina, pp. 349-351.

Il

DAVIDE BERTOLOIT1,

Descrizione di Torino,

Torino,

Pomba, 1840, pp. 69-74,

passim.

TI programma

di

ricollo–

cazione dei mercati proseguirà negli anni successivi: nel

1852 GUGLIELMO STEFANI e DOMENICO MONDO, nella

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