

natura non rappresentavano fonte di disturbo per gli abitanti, trovavano accoglienza
all'interno dell'abitato cittadino: lavorazione del feltro e delle pelli conciate, articoli di
moda, costruzione di strumenti musicali, editoria, insomma tutta l'attività produttiva
«leggera», mescolandosi a botteghe, negozi, caffè e pasticcerie, concorreva a rendere
vivace
il
tessuto urbano.
Era però lungo i fiumi che si ponevano le basi del futuro industriale di Torino. «Al
Martinetto, oltre una manifattura del cotone esistono varie filande della seta, due
conce di pelli e due fornaci di tegole, mattoni e quadrelle»9. Alla metà del
XIX
secolo,
la vocazione originaria dell'area, che prendeva nome dalla forgia originariamente ivi
installata, aveva cambiato fisionomia: passati in secondo piano i martinetti, nonché
il
follone e la frisa, nonostante che continuassero a servire un gruppo nutrito di lanifici,
ora primeggiavano le concerie.
Ed era sempre lungo
il
corso della Dora che si concentrava la produzione legata
alle esigenze militari, certamente la più avanzata quanto a tecnologie impiegate e a
dotazione tecnica. La Fabbrica d'Armi di Valdocco disponeva infatti di 156 macchine,
azionate da 4 ruote idrauliche e da una turbina da 60 cavalli; nel Regio Arsenale erano
invece attive 209 macchine, al cui funzionamento, accanto alle ruote idrauliche, con–
correva anche una macchina a vapore da 36 cavalli; infine, l'Officina di materiale d'ar–
tiglieria di Borgo Dora manteneva in attività 72 fucine con 4 turbine da 12 cavalli cia–
scuna e una macchina a vapore da 8 cavalli
l0.
Cuore del sistema era Borgo Dora «detto volgarmente del Pallone». Annunciato da
una serie di installazioni che punteggiavano lungo tutto il percorso la strada di San
Massimo, che proveniva da Valdocco, era a Borgo Dora, dove il reticolo di canalizza–
zioni si faceva più fitto , che si registrava la più alta concentrazione di manifatture:
«nove
L..]
conce di pelli e corami e varie manifatture della seta»ll.
In
realtà, il numero
di manifatture presenti nella zona era ancora più elevato di quanto il Casalis non lasci
intendere: ad arricchire l'elenco contribuivano fabbriche per la lavorazione dei fiam–
miferi, officine meccaniche, e fra esse alcune delle maggiori, impianti per la lavorazio–
ne del legno.
Ma il complesso manifatturiero più imponente, e più celebrato, era certamente
quello del Regio Parco, attivo fin dal 1768.
Nel vasto casamento di questo nome esistono una fabbrica
di
tabacchi del governo, ed una cartiera.
Nella prima si fa la triturazione del tabacco, e sono impiegati da cinquanta a sessanta lavoratori [. ..]
Nella cartiera, che è condotta dalla ditta Molino e Bricarelli, si usa la stupenda macchina all'inglese
[che] chiamasi la macchina della carta senza fine , perché la carta n'esce continua all'infinito.
In
que–
gli edifizi del parco sono da vedersi pure due nuove ruote idrauliche fatte dal Roppolo per la fabbri–
ca de' tabacchi, e la gran ruota idraulica della cartiera
12.
Ai
margini della Torino della corte e della burocrazia, con il suo commercio e il suo
artigianato, si sviluppava dunque una rete di borghi a spiccata vocazione manifatturie–
ra. La vita che si svolgeva in queste località non doveva essere certamente delle miglio–
ri. Se per alcuni aspetti esse continuavano ad avvantaggiarsi della tranquillità della
campagna, per altri dovevano risultare invece insalubri e maleodoranti. «Molto insalu–
bre è l'aria che si respira in questo borgo [Dora] a cagione dell'umidità prodotta dalle
molte acque che vi scorrono» t} . Ma non era soltanto questione di umidità. Accanto ad
essa si collocava, risultandone esaltato, il puzzo delle concerie che andava a mescolarsi–
alle esalazioni solforose delle fucine e delle fonderie. Da non trascurare, poi, le fonti di
potenziale pericolo per l'incolumità e la salute degli abitanti rappresentate dalla pre–
senza di fabbriche di zolfanelli e dall'arsenale. Nel primo caso, l'uso del fosforo espo-
9
Ibidem,
p.
202
IO
L.
BULFERETT I
e
R.
L URAGH I,
Agricoltura
cit.,
pp.l15 -116.
Il
G .
CASALIS,
Di1.ionanò geogra/ico-storico
cit.,
p. 203.
12
Ibidem,
pp. 174-175.
IJ
Ibidem,
p. 202.
26