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I

ritrovi

di Bruno Gambarotta

Nell'Ottocento le osterie e i caffè hanno svolto un ruolo centrale come palcosceni–

co privilegiato per la rappresentazione della vita sociale a Torino. Quei locali rappre–

sentarono una zona franca , quasi una compensazione della rigida divisione in classi

sociali vigente fuori da quelle mura, al punto che l'arcivescovo Gastaldi vietò al clero

l'accesso a quelle che nella sua lettera pastorale chiamò le

tabernre caf etarùe.

In

parti–

colare, per quanto riguarda i caffè, molti viaggiatori stranieri hanno registrato nei loro

resoconti una stupefatta ammirazione per questi locali, ricchi di stucchi, di luci, di

dorature, splendenti e animati. Scrive Valeryl, nel 1843:

La vita dei caffè è molto comune a Torino e non nuoce alla buona reputazione perché è praticata

non soltanto da ricchi sfaccendati, ma anche da importanti funzionari e perfino dai ministri. I

migliori caffè ricevono una grande quantità di giornali nazionali, stranieri, politici, scientifici e lette–

rari, e le principali riviste; in questo modo suppliscono ai gabinetti di lettura. Torino è dopo Napoli

e Milano la città in cui ne appare il maggior numero: ce n'erano 17 nel 1840 [la città aveva a quel

tempo 128.000 abitanti,

ndal

li

principale, la «Gazzetta Piemontese», era redatta con talento da

Felice Romani, genovese, abile poeta di libretti d'opera. Si trovano presso Marendazzo eccellenti

liquori, come l'elisir di China-China e il Vermouth: questo, che si prende prima di mettersi a tavola,

è un aperitivo estremamente simpatico. [...]

li

caffè Fiorio è frequentato dall'alta società.

li

caffè

san Carlo è magnifico: la tazza di caffè alla crema, eccellente, ben zuccherata, costa soltanto 4 soldi;

all'acqua 3 soldi; la tazza di cioccolato 4.

li

cioccolato di Torino è uno dei migliori d'Italia e d'Euro–

pa, soprattutto presso Andrea Barrera, cioccolattaio del Re.

L'epoca d'oro delle osterie e dei caffè di Torino coincise con gli ultimi mesi del

1848, allorché iniziarono a confluire nella nostra città gli esuli dagli altri Stati italiani.

Molti di loro, male alloggiati in case piccole, fredde e inospitali, trascorrevano gran

parte del loro tempo nelle osterie e nei caffè; quelle mura si trovarono a essere un

crogiolo di idee, di progetti, di esperienze e di parlate diverse che si sarebbero fatico–

samente fuse nello Stato unitario. Come li descriveva il Brofferio, questi esuli erano:

«Pien 'd rispet e devossion / al risot e ai macaron». La Torino delle guerre d'indipen–

denza era una città permeata da una totalizzante passione politica; e questo fatto

spiega come il 1847 sia stato l'anno in cui molti caffè dovettero cambiare nome, all'ir–

rompere delle novità risorgimentali. TI caffè delle Colonne, per esempio, era un tran–

quillo e sonnolento locale di via Po 33, sede abituale degli Accademici Concordi

(Cesare Balbo, Giacinto Collegno, Roberto d'Azeglio). A riprova del clima idilliaco

che vi si respirava, riproduciamo una anacreontica stampata su un foglietto volante

tratto dalla collezione Simeom

2 •

I versi furono scritti (o perlomeno fatti stampare) in

occasione della festa di Capodanno del 1832 dai garzoni di bottega come auguri agli

avventori.

I

V

ALERY, pseudonimo d! ANTOINE-CLAUDE P A–

SQUIN,

Voyages historiques, littéraires et artistiques en lta–

lie

L..],

Troisième édition, revue, corrigée et complète

L..],

Bruxelles, Société bdge de librairie, 1843.

2

ARCHIVIO STORICO

DELLA

CITTA

DI

TORINO

(d'ora in

poi ASCTl,

Collezione Simeom,

C 13058.

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