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Ma in segreto udii discorrere

Per le strade di passaggio,

Di sua vena progressistica

Pur volendo dare un saggio,

Prese il nome celeberrimo

D'un guerriero personaggio.

Che un Caffè della Metropoli

Con un secol di retaggio,

Nel 1845 il Fiorio si rinnovò nell'aspetto con divani di velluto rosso e specchiere.

Gli artisti impegnati negli affreschi furono il Gonin, il Morgari, il Gerbi, il Busca, il

Borra. Al Fiorio - che per breve tempo si dovette chiamare Caffè della confederazione

Italiana - si giocava forte; le sue sale videro la rinascita del

gioco del goffo,

molto in

voga durante la Restaurazione. Perciò, accanto ai politici come La Marmora e ad ari–

stocratici come il Santarosa, il Fiorio dovette tollerare la presenza dell' «usura al 150

per cento e

fu

ritrovo favorito di scozzoni, fantini e mercanti di cavalli». Per questa

ragione Cavour, che frequentava il locale, si fece promotore del Circolo del Whist. Ci

fu

anche chi venne celebrato dall'immancabile epigrammista Baratta per aver trascor–

so tutta la vita al Fiorio

17 :

Epitaffio del conte Onorio. Morì ne' mesi scorsi un grosso e tondo signore, solito a passare le sue

giornate davanti al Caffè Fiorio, senza darsi altra pena al mondo, fuorché quella di digerire. Ond'è

che mi nacque il pensiero di apprestargli una lapide sepolcrale, esprimente il tenore di quella vita

così inutile e vuota:

Sia leggera la terra al Conte Onorio

La cui morte, ahi dolore! Un vuoto grande

Su le panche lasciò al Caffè Fiorio.

Contrapposto al caffè dei reazionari non poteva mancare in quegli anni a Torino il

caffè dei carbonari. Nel 1831 , in mezzo ai prati di borgo Vanchiglia, esattamente in

contrada della Zecca (1 'attuale via Verdi) era sorto uno strano edificio a forma di scafo

di nave, progettato dall'architetto Alessandro Antonelli. In quel luogo, dove ora c'è

l'albergo Verdi, ebbe sede il Caffè del Progresso, per iniziativa del marchese Carlo

Emanuele Birago di Vische. Era destinato a diventare il caffè dei carbonari, non solo

perché sorgeva isolato in mezzo alla campagna ma anche perché sul pavimento della

sala al pianterreno, sempre deserta e servita da un solo, vecchio e sonnolento camerie–

re, si apriva una botola che portava a due piani sottoterra, con altrettante sale arredate

in stile impero e ferventi di vita. All' altezza della seconda sala si aprivano inoltre due

gallerie; una portava ai Murazzi in riva al Po, l'altra si collegava coi sotterranei di

Palazzo Madama. Oltre ai carbonari, fecero la loro comparsa al caffè del Progresso

Cavour, Garibaldi, Nigra e, in incognito, Vittorio Emanuele accompagnato dai genera–

li La Marmora e Cialdini, il trio responsabile del disastro di Custoza. Secondo il Viri–

glio, il proprietario era vincolato a tenere nel locale almeno 100 giornali.

Si chiuse quattro anni dopo la morte del suo vecchio proprietario - scrive Bazzetta de Vemenia

18 -

il

garibaldino Alessandro Dalmazzo, fervente patriota che conduceva i clienti in un piccolo gabinetto,

presso la sala centrale, dove non c'erano altri mobili che un tavolo di marmo ed una seggiola. Qui

veniva a rinchiudersi Camillo Cavour per prendere il caffè, narrava il Dalmazzo; ai privilegiati,

lasciava vedere la tazza di maiolica usata dal Tessitore, agli intimi permetteva di toccarla.

li

Bicerin,

la più conosciuta e caratteristica bevanda nata nei caffè di Torino, merita

un cenno a parte. Scrisse Alessandro Dumas in una lettera al De Raude:

Parmi les belJes et bonnes choses remarquées

à

Turin je n'oublierai le bicerin, sorte d'excellente

boisson composée de café, de lait et de chocolat, qu'on sert dans tous les cafés,

à

un prix relative–

ment très baso

La più particolareggiata descrizione del

bicerin

verrà data, allo scadere dell'ottocen–

to, da Alberto Viriglio

19 :

17

ANTO IO BARATTA,

Epigrammi editi e inediti,

Tori·

no, Scioldo, 1881.

38

18

N.

BAZZETTA DE VEMENIA,

op.

cito

19

A.

VOOGLIO,

op.

cito