

sull’eziologia e le modalità di trasmissione del morbo, che tuttavia
all’epoca erano ancora in larga parte sconosciute, la disinvoltura con cui
veniva gestita la campagna antiepidemica, al di là dei buoni propositi,
doveva ovviamente pregiudicarne i risultati. Se infatti il principio del
contagio interpersonale era un dato acquisito fin dalla grande peste di
metà Trecento
103
, soltanto nel corso del
xvi
secolo si sarebbe imposta
l’idea che il morbo potesse propagarsi anche attraverso le merci.
Quando in città si manifestavano i primi segni di epidemia, le auto-
rità si trovavano ad affrontare una molteplicità di problemi e cercavano
in primo luogo di correre ai ripari emanando provvedimenti coercitivi
per l’isolamento di contagiati e sospetti: per lo più veniva imposta la re-
clusione delle famiglie nelle abitazioni considerate infette oppure si ri-
correva all’espulsione dalla città dei malati, senza prevedere per loro al-
cun tipo di sistemazione
104
. L’amministrazione torinese sembra infatti
aver affrontato con un certo ritardo, anche rispetto ad altri centri pie-
montesi, il problema dell’allestimento di strutture stabili per l’interna-
mento degli appestati. Se infatti a Moncalieri la creazione del lazzaretto
risale alla peste generale di metà Quattrocento
105
, a Torino si prese a par-
larne solo all’inizio del
xvi
secolo: nel 1506 si acquistò un prato fuori por-
ta per isolare i sospetti di peste e tre anni dopo incominciò ad affacciar-
si l’idea della costruzione
ex novo
di una sede per ricoverare gli infetti
nel caso fosse esplosa un’epidemia; il progetto avrebbe preso corpo solo
nel corso degli anni Venti, con l’avvio dell’edificazione di un ospedale
per gli appestati in borgo Dora, fuori le mura, ma i lavori procedettero
con grande lentezza, soprattutto per la difficoltà, comune a molte altre
realtà cittadine, di ottenere la disponibilità di fondi adeguati
106
.
La classe dirigente e i problemi di una città in crescita
761
29 settembre 1508) (si accolgono in città persone in arrivo da alcuni dei numerosi luoghi in odore
di contagio, essendo la peste ormai conclamata a Moncalieri).
103
Sulle teorie epidemiche tradizionali cfr.
i. naso
,
Individuazione diagnostica della «peste ne-
ra». Cultura medica e aspetti clinici
, in
La peste nera: dati di una realtà ed elementi di una interpreta-
zione
(Atti del XXX Convegno storico internazionale a cura del Centro italiano di studi sull’alto
medioevo, Todi 10-13 ottobre 1993), Spoleto 1994, specialmente pp. 372-79.
104
Coloro che venivano cacciati dalla città trovavano poi rifugio nei campi in ricoveri di for-
tuna o in capanne improvvisate: ad esempio, il 29 aprile 1485 alcuni proprietari terrieri chiesero
il risarcimento per i danni subiti nelle loro proprietà situate presso i fontanili, dove si ammassava-
no gli espulsi al tempo della peste dell’anno precedente (cfr.
naso
,
L’assistenza sanitaria nei comu-
ni pedemontani
cit., p. 105).
105
Ibid.
, p. 104.
106
ASCT,
Ordinati
, 87, f. 4
r
(verbale del 7 marzo 1506); 90, f. 4
r
(verbale del 5 gennaio 1509);
100/1, f. 7
r
(verbale del 13 maggio 1522); 100/2, ff. 3
v
-9
v
(verbali del 5 e 22 febbraio, 2 marzo
1523); 101, f. 1
r
(verbale del 21 gennaio 1529). In generale sulla creazione dei lazzaretti in Italia
tra medioevo ed età moderna si veda
a. pastore
,
Peste, epidemie e strutture sanitarie
, in
n. tranfa-
glia
e
m. firpo
(a cura di),
La Storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Età Contemporanea
, III.
L’Età Moderna
,
i
.
I quadri generali
, Torino 1987, specialmente pp. 69-75.