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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)

Un altro grave problema che si presentava di fronte all’avanzata del

morbo consisteva nella pressoché totale latitanza del personale sanita-

rio, la cui presenza tuttavia era richiesta non tanto per l’intervento te-

rapeutico, considerato in realtà poco efficace, quanto piuttosto per eser-

citare un certo controllo sull’evoluzione del morbo. Poiché ai medici

«condotti» era consentito allontanarsi dalla città in caso di epidemia,

salvo clausole contrattuali diverse, le autorità locali dovevano non di ra-

do provvedere a reclutare medici o chirurghi

ad hoc

, cui accordavano

condizioni particolarmente favorevoli soprattutto sotto il profilo delle

retribuzioni, che – considerato l’alto rischio – erano di molto superiori

alle consuete: così nel 1451 Nicola Rainaldi fu assunto per due mesi,

mentre infuriava una terribile epidemia, con la promessa di uno stipen-

dio assai elevato, proprio in considerazione del fatto che in città non si

trovava più nessuno che potesse curare gli infermi

107

. L’opera dei bar-

bieri, che normalmente praticavano operazioni di bassa chirurgia, di-

ventava indispensabile nei periodi di emergenza, quando gli organi di

governo incontravano maggiori ostacoli ad assicurare una continuità

nell’assistenza sanitaria

108

; spesso i barbieri si prodigavano spontanea-

mente al servizio degli appestati, sostituendo di fatto i terapeuti più qua-

lificati, per ottenere solo a posteriori un riconoscimento pubblico, che

per lo più consisteva in privilegi di natura fiscale. In qualche caso fu ne-

cessario addirittura ricorrere a personale del tutto estraneo al corpo sa-

nitario, come durante la disastrosa peste del 1421, quando la credenza

torinese discusse i criteri per il reclutamento di tre o quattro vecchie

donne da adibire al servizio degli infetti

109

.

I singoli individui, per parte loro, al fine di prevenire o ridurre al mi-

nimo gli effetti della catastrofe, non esitavano a ricorrere a tutti i mez-

zi disponibili, compatibilmente con le loro disponibilità economiche: la

stessa trattatistica medica sulla peste, divenuta dal secondo Trecento un

vero e proprio genere letterario, consigliava preparati medicinali e ri-

medi talora di dubbia efficacia, accanto a regole dietetiche e di igiene

personale, senza dimenticare il ricorso a credenze magiche e pratiche su-

perstiziose, cui si affidavano le speranze di uomini vittime della paura

e dell’angoscia. La principale misura di autodifesa preventiva era – co-

me è noto – la fuga dalle aree infette verso zone sicure: in taluni casi la

psicosi collettiva provocava un esodo in massa, soprattutto dalle città o

107

ASCT,

Ordinati

, 72, f. 164

v

(16 settembre 1451); cfr.

naso

,

L’assistenza sanitaria nei co-

muni pedemontani

cit., Appendice doc. IV, pp. 121 sg.

108

ead

.,

Medici e strutture sanitarie

cit., p. 140.

109

ead

.,

L’assistenza sanitaria nei comuni pedemontani

cit., p. 111, nota 128.