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Parte seconda La preminenza sulle comunità del Piemonte (1418-1536)
no dall’uno dei lati dalle radici delle Alpi che separano l’Italia dalla Fran-
cia, e dall’altro avendo il fiume del Po che le passa vicino». E subito ag-
giunge entusiasta: «non è molto grande, ma molto bella: è popolosissi-
ma e abbondantissima di tutto ciò che fa bisogno ad una città».
Di dimensioni modeste, ma accogliente, vivace, ricca, intersecata da
«belle strade» e adorna di «buoni casamenti», non sembra violata in al-
cun modo dagli occupanti d’oltralpe, i quali anzi, trasformandola «in
grandissima fortezza», hanno posto a sua difesa ad ogni angolo dell’an-
tico quadrato «un grande baluardo» e aggiunto un’alta «cortina di ter-
ra» lungo le vecchie mura, «intorno, intorno». Due luoghi in particola-
re colpiscono il prelato veneziano: la «bella spaziosa» piazza del Castello,
con l’antica residenza degli Acaia adibita dai Francesi a deposito delle
munizioni e l’atmosfera misurata della piazza delle Erbe, su cui si af-
facciano gli alloggiamenti della guarnigione. Questa seconda piazza, nel
cuore del nucleo urbano, ospita un mercato, «con diverse botteghette
con robe da vendere, massimamente da mangiare», ben rifornito, al-
quanto frequentato, ove i piccoli commerci si svolgono a ritmo serrato
sino a tarda sera in una atmosfera misurata e quieta: «È bel vedere tra
tanti soldati forestieri essere la piazza così piena di cose venali, dove uo-
mini e donne vendono e comprano secondo il loro bisogno senza uno
strepito al mondo». Con eguale compostezza, calato il buio, acquirenti
e venditori sgombrano repentinamente l’area affollata da persone e co-
se, per lasciare il posto a un nutrito drappello di militari, «tutti con cor-
saletti e morioni come se andassero a combattere», convocati al turno
di guardia per la notte.
Tra il «vespero» di un venerdì e il «postdesinare» del sabato l’illu-
stre visitatore non riesce a notare alcuna altra cosa: non senza compia-
cimento, egli imprime tuttavia nella mente il garbo e l’eleganza delle
«molte e cortesi donne» torinesi, incontrate durante la sua perlustra-
zione della città: «gli abiti loro – egli registra da buon osservatore – è
portare sopra la veste una robba di qualche seta, in testa portano un ca-
pirone alla francese di velluto, dagli occhi in giù hanno il viso coperto
da certa buffa, la quale però abbassano, scoprendo tutta la faccia ogni
volta che salutano, il che fanno molto cortesemente, e rispondono ai sa-
luti di qualche gentiluomo».
C’è da chiedersi la ragione del silenzio di un autorevole uomo di Chie-
sa, quale l’arcivescovo di Zara, su parrocchie, conventi e monasteri,
all’epoca numerosi a Torino, come pure il motivo dell’assenza di com-
mento sull’architettura del duomo, che, a riprova della soggettività del-
le percezioni, colpirà invece con le sue linee sobrie altri osservatori: pri-
mo tra questi, non un viaggiatore attento e ben documentato, bensì uno