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subalpino di mezza estate non oppresso dalla calura, «hic ubi sum ridet

coelum, est gratissimus aër», sotto il quale brilla una città discretamen-

te edificata, «non male structa», immersa in un paesaggio bucolico di

prati verdi, orti fioriti, vigne lussureggianti, «undique prata virent, exa-

lant floribus horti, depromit botros vinea laeta suos». Due elementi ca-

ratterizzano il territorio torinese: le acque limpide del Po, che scorrono

tranquille, ricche di leggenda e di storia, e quelle turbinose della Dora,

che contribuiscono in vario modo al lavoro dell’uomo, «humana per

agros rivulus arte fluit»; entrambi disegnano un paesaggio di campi ir-

rigui, animato da attività e da congegni, operoso, vivace, complesso, che

il poeta tuttavia lascia in ombra, distratto da ben altro argomento. La

leggiadria delle giovani donne subalpine, la cui bellezza può competere

con quella assoluta di Venere, a suo parere sedurrebbe finanche l’au-

stero Catone, «tanta est in facie gratia, forma, lepos»: motivo non ulti-

mo di apprezzamento per una città ove non manca nulla all’umano pia-

cere, se non la possibilità di condividerne i tesori con un amico che è al-

trove.

Egualmente gradevole, ma più sicura e più forte per il rinnovato si-

stema difensivo – i robusti bastioni di Torino eretti dal governatore fran-

cese Guillaume du Bellay nel 1538 entreranno nella letteratura con il

Pantagruel

di Rabelais, «Frère Jean apporta quatre horrifiques pastés de

jambon si grands qu’il me souvint des quatre bastions de Turin»

23

–, la

città appare nel 1549 al medico Andrea Minucci da Serravalle, arcive-

scovo di Zara

24

. Il presule, in viaggio da Venezia a Parigi, abbraccia con

uno sguardo lungo e ammirato il capoluogo subalpino, cui non nega ve-

tustà e prestigio: «Torino, antica e principale città del Piemonte – egli

annota nella relazione – siede nella campagna aperta; non molto lonta-

Immagini della città nelle relazioni dei viaggiatori e dei diplomatici

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men omnia desunt. | Forte rogas quaenam causa sit hujus? Abes». Fu pubblicato nel 1891, ac-

compagnato da libera traduzione in lingua francese: «Ici le ciel est riant et l’air très agréable, la

ville est bien construite et en bonne assiette, partout les prés sont verts, les jardins embaumés de

fleurs, la vigne étale ses grappes joyeuses; ici un fleuve se répand en flots clairs, une rivière arrose

les champs par l’industrie des hommes; ici sont par surcroît des jeunes filles dont la rare beauté

peut l’emporter sur Vénus elle-même et fléchir même Caton, l’austère Caton! tant il y a de grâce

dans leur forme et de douceur dans leur visage. D’où vient que tout nous manque, alors qu’il ne

nous manque rien, veux-tu le savoir? Tu n’es pas là» (

a. heulhard

,

Rabelais. Ses voyages en Italie

,

Paris 1891, pp. 114-15). Su Jean de Boyssoné (anche Boysson), professore

utriusque iuris

dal 1526

a Tolosa, si veda la nota biografica di

v.l. saulnier

, in

Dictionnaire des Lettres Françaises

.

Le Sei-

zième Siècle

, Paris 1951, pp. 127-28. L’autore dei versi, «Cl. Desachius», ovvero Claude des Oches,

monaco benedettino originario di Talloires in Savoia, aveva compiuto gli studi a Torino, dove nel

1533 aveva incontrato Boyssoné.

23

Pantagruel

, l. IV, cap. 65, menzionato in

heulhard

,

Rabelais

cit., p. 120.

24

a. minucci

,

Descrizione di un viaggio fatto nel 1549 da Venezia a Parigi

, a cura di J. Bernar-

di, in «Miscellanea di Storia Italiana»,

i

(1862), pp. 73-76. Sulle impressioni del Minucci,

comba

,

Lo spazio vissuto

cit., pp. 14, 39-40.