

vecchio borgo raggiunto dalla città) alla
quale partecipavano uomini di diversi
ceti. Inoltre quelli che abitavano alla
periferia normalmente si incontravano
nei mezzi pubblici per andare al lavoro,
era un incontro che avveniva tutti i gior–
ni, e questo faceva sì che incontrandosi
quasi si conoscessero. Nel centro citta–
dino, poi, la mescolanza dei ceti si ri–
fletteva nella strutturazione delle abi–
tazioni nei diversi piani delle case.
Da tutto ciò emergeva un maggior sen–
so di comunità
di
quartiere.
La vita moderna che ha portato alla
formazione di queste mastodontiche cit–
tà - mentre colla motorizzazione indi–
viduale ha isolato gli uomini nei lotel
movimenti - per altro verso ha accen–
tuato il carattere di integrazione verti·
cale che ha sottolineato il prof. Detra·
giache, il quale ha messo pure in ri·
salto come l'uomo vi si integri in varia
guisa e sempre parzialmente.
Il problema dei quartieri non è dunque
soltanto quello di cercare una forma di
rappresentanza decentrata, ma anche di
vedere se è possibile ristabilire anche
un po' di quelli che sono i valori urna
ni di una vita comunitaria. In questo
senso appare essenziale che, dove si
formano i centri di quartiere, sorgano
centri di vita culturale in senso lato,
che possano costituire ragioni di incon–
tro: biblioteche, sale per conferenze e
dibattiti, e cosi via.
Berti ha mosso un appunto alla mia af–
fermazione, che per arrivare alle elezio–
ni dirette delle rappresentanze di quar–
tiere ci vorrebbe una legge; preciso che
la legge sarebbe necessaria per una
istituzionalizzazione, con elezioni vere
e proprie.
In
astratto nulla vieterebbe
a un comune di fare qualche esperimen–
to di elezioni in un quartiere. Ma per
arrivare a questo bisogna che la popo–
lazione sia sensibilizzata al valore sostan–
ziale di tale rappresentanza. Occorre fare
prima opera di educazione, e valersi di
esperimenti molto più limitati.
Precisamente a questo scopo di sensi–
bilizzazione al quartiere, ho insistito
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sulla necessità di creare anche luoghi di
incontro su base culturale.
Ci
sono delle
possibilità di ravvivare centri per dibat–
titi e confronti su problemi attuali e su
questioni concrete, il che non è che un
aspetto della più complessa esigenza di
attirare gli interessi per la vita associata
e di cercare di far convergere varie for–
ze vive nel ricreare una coscienza di una
comunità. Perchè mi pare sia emerso
che la più profonda esigenza che tutti
sentiamo è che si cerchi in qualche modo
di far nascere nel quartiere una comunità
di uomini, che misuri i problemi pub–
blici ad una misura umana. Non poso
siamo pretendere che ciò venga fuori,
come da una bacchetta magica, da un
provvedimento del Comune. Il problema
deve essere approfondito in tutti i suoi
aspetti; il primo obbiettivo è di stabilire
possibilità più dirette di contatto fra
i cittadini e chi governa il Comune. Ho
voluto fare queste osservazioni per av–
viare le risposte che i partecipanti al di–
battito si daranno l'un l'altro.
Credo che concludendo si possa dire
che è emersa dalla discussione tutta una
problematica che esiste intorno a questi
consigli di quartiere, ed è emerso che il
significato e valore che essi hanno è
nello sforzo di fare sì che la democrazia
sia sempre più diffusa in un ravvicina–
mento dei cittadini ai problemi della
città.
Le obiezioni del professor Detragiache,
le constatazioni che si sono fatte, i pun–
ti di vista diversi enunciati in rapporto
ad una problematica concreta, mi pare
che diano questo risultato, che in so–
stanza si deve trattare di una realtà
sperimentale, si deve entrare nell'esperi–
mento, cercare
di
scegliere - nei con–
fronti delle varie determinazioni - una
via che sia più vicina a quegli scopi che
abbiamo ritenuto di individuare; e si
deve cercare appunto di fare in modo
che questi esperimenti crescano e viva–
no, e siano strumenti di espansione del–
l'interesse per i problemi collettivi. Co–
me diceva la signorina Di Pietrantonio,
si deve almeno dare una possibilità al
cittadino, che lo voglia, di farsi senti–
re negli organi della vita comunale attra–
verso questa forma intermedia di pas–
saggio.
Se crediamo in una concezione plurali–
stica della società, sentiamo che le grandi
città rischiano di perdere il contatto col–
la misura umana, a cui tale concezione
pluralistica deve far capo: in qualche
modo una rappresentanza di quartiere
dovrebbe riavvicinare la possibilità di
tale contatto.
Tenendo presenti tutte le difficoltà che
derivano dalla società moderna, che sono
state poste in risalto, dobbiamo essere
possibilisti ed elastici, nel cercar di av–
viare l'esperimento anche a Torino. Si
inizierà con la formazione di una com–
missione, che studi sia le possibilità di
individuare i quartieri, sia le prospettive
varie, in rapporto alle diverse struttura–
zioni.
Oggi l'ordinamento amministrativo, co–
me aveva anche osservato il dottor Za–
none, mentre fa centro sull'unità ammi–
nistrativa del Comune, indipendente–
mente dall'estensione, è poi alquanto ar–
bitrario nel tracciare l'ambito territo–
riale dei Comuni.
Una politica diversa è stata seguita in
tempi passati in rapporto alle varie cit–
tà: si è fatta la grande Genova, la gran–
de Milano, e non si è fatta la grande
Torino.
A Torino ci sono dei Comuni della cin–
tura che sono uniti alla città, senza so–
luzione di continuo, e hanno una loro
amminis trazione, mentre invece nelle
città di Genova, di Milano, di Vene–
zia, sono stati incorporati i Comuni
vicini. Tutto ciò induce a cercare una
strutturazione più razionale dell'unità
nella pluralità.
Poichè però si tratta per ora di un pro
cedere sperimentale, si deve appunto
procedere con delle forme non stereoti–
pate, ma che siano abbozzate e flessibili,
e con delle funzioni consultive, come del
resto è avvenuto negli esperimenti in
atto in altre città.
Giuseppe Grosso
" ...il
quartiere
per un "i"o
ed
anapio
colloquio
tra
i
cittadini"
Il Sindaco ha giustamente rilevato nel
suo intervento che dal dibattito tutti i
convenuti sono almeno sostanzialmente
d'accordo sulla costituzione dei comi–
tati di quartiere come rapporto diretto
tra cittadini ed Amministrazione.
Diverse invece sono state le tesi avan–
zate circa la struttura dei consigli stessi.
Qualcuno sostiene che il progetto di per
sè potrebbe favorire quelle già esistenti
forme di organizzazione di partito di
massa ricalcandone il tono politico rite–
nuto un po' troppo populista.
Non comprendo il perchè. Anzi mi pare
che la funzione di tale decentramento
abbia lo scopo di allargare e rafforzare
quella coscienza civica che diciamo esse–
re alla base del nostro metodo democra–
tico e della libertà come la concepiamo
oggi; fortunatamente l'opposizione alla
formazione dei consigli di quartiere man
mano è scemato, sino a giungere al rico–
noscimento che gli stessi offrono aspetti
positivi, consentendo di superare pre–
giudiziali di partito e divisioni di grup–
po per trovare un accordo sulle cose da
fare.
A chi ancora oggi si preoccupa che i
consigli di quartiere si trasformino in
organismi politici rispondiamo che que–
sta preoccupazione è smentita dai fatti
là dove i quartieri sono in funzione; gli
argomenti dibattuti in questi anni han–
no riguardato le scuole, la sistemazione