

avrebbe potuto protrarsi oltre la metà
di febbraio.
Ed il Peyron si destreggiò mirabilmente,
conducendo l'impresa a termine nel bre–
ve lasso di tempo accordatogli, mercé
l'impiego di ben mille operai, e con una
spesa di cinquecentomila lire!
Tanta rapidità oggi ci appare incredibile,
e, francamente, quasi quasi si sarebbe
tentati di porre in dubbio la veridicità
del racconto di un articolista del coevo
« Mondo Illustrato
»,
se non ci soccor–
resse una relazione tecnica dell'ingegner
Pulciano , illuminandoci sui singolarissi–
mi procedimenti dei collaboratori scelti
dal Peyron, i quali avevano avuto cura
di separare
«il lavoro dell'ossatura da
quello dell'ornamentazione, dell'arreda–
mento e da tutte le altre opere accesso–
rie, allo scopo di poter agire contempo–
raneamente in cantieri diversi
». .
L'Unità d'Italia
Il 18 febbraio ebbe luogo la cerimonia
inaugurale, ed in una atmosfera elettriz–
zante echeggiò il Discorso della Corona
che proclamava ormai quasi raggiunta
l'Unità d'Italia.
Immaginiamo di mescolarci alla folla
0-
sannante e volgiamo lo sguardo attorno:
ecco la grande sala semicircolare alta
ventiquattro metri, in stile lombardo, con
l'unica amplissima Galleria di ventun ar–
cate, capace di circa mille persone: i cor–
pi diplomatici, le consorti dei deputati,
i giornalisti,
il
pubblico. Cinquecento
stalli scolpiti e dipinti in terra d'ombra
e in oro, bastano a contenere nelle sedute
reali, deputati e senatori riuniti. Il locale
vien copiosamente rischiarato da un lu–
cernario, situato in mezzo alla volta per–
corsa da una fila di stemmi, rappresen–
tanti le cinquantanove provincie del nuo–
vo Regno. Un lavoro, cotesto, del Moia,
assai ben intonato alla tinta grigioverde
chiara con qualche doratura, dominante
nel fresco e luminoso ambiente.
L'atrio di Palazzo Carignano appare tra–
sformato in una elegante anticamera: si
tenga presente che esso immetteva diret–
tamente nel padiglione in legno e ferro
eretto dal Peyron nello spazio oggi cor–
rispondente al cortile del palazzo. Per
far luogo alla nuova costruzione, era stato
giuocoforza distruggere in gran parte i
giardini che si stendevano sull'area del–
l'attuale piazza Carlo Alberto, la cui
apertura progettata per l'appunto in que–
gli anni, aveva perciò segnato la condan–
na di un'altra oasi verde nel cuore della
vecchia Torino.
Rimarrebbe, infine, da esaminare la sala
di lettura dei signori onorevoli. Dalle so–
vrapporte spiccavano sei medaglioni ad
olio del pittore nizzardo Biscarra, un per–
sonaggio assai influente nel mondo arti–
stico dell'epoca. Poiché dalla riproduzione
è assolutamente impossibile individuarne
il
«soggetto
»,
sarà bene chiedere al
Mondo Illustrato
che cosa mai raffigu–
rassero, e l'ignoto collega ci accontenta
subito e pronunzia una sfilza di nomi il–
lustri : i( Sarpi, il Beccaria, il Bogino,
il Machiavelli (sic)
il
Muratori e il Vico.
A questo punto, ci si perdoni l'infelice
espressione, la vita politica del Palazzo
Carignano si può dire conclusa e fu vita
che racchiude un cos1 fulgido tesoro di
gloria, quale ben pochi palazzi italiani
possono vantare. Non si concludono, pe–
rò, le sue vicende edilizie, per le quali
La storica sala del Parlamento Subalpino, gremita di deputati e di pubblico
mentre parla Cavour. Oggi l'ampia aula destinata a sede del Parlamento italiano
e rimasta inutilizzata in seguito al trasporto delle Camere a Firenze,
è
meta di pellegrinaggio di tutti gli italiani
desiderosi di accostarsi a fatti ed eventi della epopea nazionale
sarà sufficiente un fuggevole appunto.
Riprendendo il filo del discorso ricorde–
remo come nel 1861 deliberandosi di in–
nalzare il monumento a Carlo Alberto,
opera del Marocchetti, venissero sacrifi–
cati i giardini, e si aprisse una piazza in–
titolata al Re del '48. La costruzione del
Peyron poi, venne demolita nel 1865;
essa era infatti di natùra ·del tutto prov–
visoria dato che il nuovo parlamento
avrebbe dovuto sorgere nell'ala rivolta
verso piazza Carlo Alberto. Ai lavori di
ampliamento si era dato mano nel 1863,
ad opera del bolognese Gaetano Ferri,
che tracciò i disegni, e di Giuseppe Bol–
lati, novarese, che curò soprattutto la
costruzione, previa una intesa tra il Mi-
nistero e il Comune, che prevedeva il
passaggio della proprietà del palazzo al
Municipio di Torino, nell'ipotesi, poi
divenuta realtà, di un trasferimento del–
la capitale.
L'aggiunta ottocentesca
L'aggiunta ottocentesca sviluppa una cu–
batura pressoché equivalente a quella
dell'edificio guariniano, ed
è
agevolmente
individuabile osservando il colore più vi–
vace del laterizio nuovo, nonché la mag–
gior freddezza geomètrica dei particolari
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