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DDmenica,

IO

Febllraio 1884

Num. 6.

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VILLAGGIO E CASTELLO MEDIOEVALE

Il villaggio e il castello medioevale

furono le

«

great attraction» della Mostra,

scriveva un giornale dell'epoca,

e «per deliberazione unanime

del Municipio verranno serbati

a perenne ricordo della grandiosa

esposizione nazionale»

geografia può spiegare la storia spesso,

non la condiziona, e la civiltà, che è

spirito in ascesa, è il graduale affranca–

mento umano da ogni determinismo na–

turale. E Torino aveva già iniziato questo

affrancamento con

il

traforo dei Giovi

e quello del Frejus, e aveva in vista

quello del Gottardo; si svincolava dalla

povertà di combustibile con l'uso del–

l'energia idrica che, trasformata in quella

elettrica, la liberava anche dalla neces–

saria vicinanza dell'acqua.

Storia

di

Torino, storia di libertà dura–

mente conquistata e sofferta.

Esposizione Generale 1884, esame di

stato di Torino città di provincia, capace

« Il sospirato giorno

è

dunque venuto e la grandiosa Mostra

artistica, agricola ed industriale

si è aperta dinanzi agli sguardi meravigliati degli italiani

».

Così inizia la cronaca della inaugurazione del

1884,

un ispirato reporter,

e, chiude citando

i

versi dell'« egregio » poeta Berta:

«

Il bruno in peplo d'oro

-

muta, o regina Italia,.

chiedi al santo lavoro

-

la gloria eterna

-

o Italia, o Italia, o I talia!

»

di organizzare il lavoro di una intiera

nazione. Area occupata 450 mila metri

quadrati, coperti 100 mila metri quadrati,

operai addetti milleduecento, bilancio

preventivo in pareggio 3.825.000 in gran

parte sottoscritti da privati, che verran–

no puntualmente rimborsati; espositori

circa 14 mila, visitatori 2.934.232.

Per una prima mostra generale le cifre

sono già eloquenti per se stesse. Preoc–

cupazione prima fu l'ordine, la compo–

stezza, l'armonia; non doveva essere una

kermesse di popolo questa, ma una ras–

segna cosciente di tutte le capacità costi–

tuenti la civiltà del lavoro dell'Italia

unita. Il sacro bosco del Valentino non

doveva subire un'invasione

di

cavallette,

doveva ospitare con fragrante signorilità

il

meglio della civiltà, cioè dello spirito

dell'uomo che si sostanzia e si attua in

opere dopo essere stato pensiero.

Il verde del Valentino, quasi simbolo del

verde di tutte le speranze, doveva ospi–

tare il bianco pieno di {ede di una città

improvvisata, mossa dal rosso della fiam–

ma della fucina, del forno, della scintilla

elettrica, dell'arco voltaico, perché solo

. ardendo e consumando si produce. L'in–

gegner Riccio fu preposto al progetto ar–

chitettonico dei fabbricati per accogliere

la messe del lavoro italiano in venticin–

que anni

di

unità, e ideò un insieme di

provvisori palazzi arieggianti un misto

di rinascimento, di bramantesco e di ba–

rocco, in cui poter articolare le diverse

esigenze espositive: propose poi di uti–

lizzare il fronte di corso Massimo d'Aze–

glio verso cui aprire l'ingresso d'onore,

dietro il quale far correre una galleria

di

seicento metri, in cui accogliere i prodotti

dell'industria manifatturiera. Questo im–

menso tempio del lavoro era intervallato

dalla sala dei concerti. Anche in questa

disposizione potremmo percepire una fi–

nezza interpretativa di equilibrio. Ma

l'Esposizione generale era anche artisti–

ca, e senza voler parlare

di

opere e cor–

re'nti, accenniamo al dato di fatto che,

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