

DURANTE DURANT I
una lettera del Duranti a Don Giovanni Battista
Zelini di Castiglione delle Stiviere, datata da Venezia
il 28 ottobre 1750, si legge « Vi includo un sonetto
fatto sopra la fabbrica di queste carceri che è cosa
orrida, come l’orrore medesimo. Qui ha fatto molto
strepito, ma io mi diletto più della lode che approva
zione dei pochi che dei molti. Non credete già, che il
luogo ove abito sia secondo la descrizione del sonetto.
10 ho una camera lucidissima, grande, pulita, che è
decentissima senza passare i limiti della moderazione.
Ma il rimanente, per verità immaginatevi, quel
Tenebras exieriores
e quell’
Umbra mortis
.....».
E pochi mesi prima aveva scritto all’ab. Merenzi
di Venezia il 28 aprile 1750: «Quando sarete qui
troverete una stanza che non sente di prigione, una
compagnia sceltissima, e sopratutto letterati e scien
ziati quanti vorrete, che vi parrà d ’essere nel Bò
di Padova. Libri da perdervi gli occhi, carte e penne
da logorarvi i polpastrelli delle dita, mensa da cac
ciar la fame senza uscire dalla frugalità ». E allo
stesso in data 22 maggio 1751 da Venezia: «Or vi
dirò che sono fuori dalla briga maggiore, voglio dir
delle difese, le quali mi hanno affaticato il corpo e la
mente, e succhiata malamente la borsa. Starò in
pace per un mese circa. Ai primi di luglio sarà intro
dotto il processo, e per gli ultimi spedito. Cosa abbia
ad esser sta in mano a chi può tutto. Secondo la
ragione umana e la giustizia, che mi viene receduta
universalmente nel giudizio delle persone più savie
e prudenti, il fine sarà secondo il mio e il vostro
desiderio, e di tutti i buoni. Lo aspetto con animo
franco... ». E più innanzi: «... non ho avuta di pri
gionia altro che il nome ». 11 21 luglio del 1752 veniva
assolto; subito ne partecipa a ll’amico suo Romano
la buona novella: «Ecco la tanta sospirata nuova.
In questo punto sono pienamente assolto dall’ec
celso, si può dire così, con universale soddisfazione,
ed ho tanto piena la stanza di gente primaria del
l’uno e dell’altro sesso che non è poco, che io scriva
quattro righe... Questo è ben un giorno per me da
segnalarsi, per usar la frase poetica, “ con pietra
bianchissima „ ».
Notizie della sua vita possiamo anche attingerle
nelle sue
Epistole
e particolarmente dalla prima a
G. Maria Montorfano che si recava a Torino presso
11 Re di Sardegna:
Io fui sempre nel dir schietto e sincero;
L ’adular biasmo, e reputo indegna opra
Covrir per prezzo. e per favore il vero.
Non vendo laude, perchè alcun mi copra
Di seta, o d’oro, o perchè siami amico
Chi per grado o poter sta agli altri sopra.
Del mio vesto abbastanza, e mi nutrico:
Sto a mio talento, e vado, e quando scrivo.
Per genio non per soldo m'affatico.
Non gravo il corpo, nè di sonno privo
CU occhi, per tor co' miei sudori a Lete
Forse chi degno è men di restar vivo.
Non curo maggior grado: la quiete
Amo più assai, nè vuo' da lei mi toglia
D'auro, o d'onori insaziabil sete.
Altn favor di principi a sua voglia
Procacci pur scorrendo terre, e man.
Mutando animo il più col mutar spoglia,
lo de' parenti, e degli amici cari
Goder più mi diletto or questo or quello
Alla dolce ombra de' patemi Lari.
K godo più, se in riva d’un ruscello
Oliamo le amiche Muso, ove ragioni'
Col Fenaruolo, e ’l mio divin Capello.
Altre notizie autobiografiche ci sono porte dal
Duranti nella terza epistola, dove ricorda, con grave
intonazione al suo amico Giulio Baitelli, i primi
casi della vita sua:
Tu dei saper, che assai per tempo volse
Affliggermi fortuna, e ben fu allora.
Che a me bambin la cara madre tolse.
Mancommi, come vedi, di buonora
Quel lume in lei. che in questo mondo cieon
Regger doveami, e scorta ancor mi fora.
Ma ben mostrommi ancor più triste e bieco
Fortuna il viso, allor che mi rapio
L ’Avo, che ogni mio ben portò seco.
A seguir la virtude, ad esser pio
Volger poteami, e a fuggir l’opre prave,
E il difetto emendar del Padre mio:
Cui mal d’apoplessia subito, e grave
Toglie, che ben conosca, e ben favelli:
Giovane il colse, e avvien, che ancor l'aggrave.
Rimasero dell'Avo due fratelli,
Che avean giunto a prudenza amino schietto,
Ch'ebtier pietà degli anni miei novelli.
Mi tennero in Bologna, acciò nel retto
Sentier m’indirizzassi; ma deluse
Fur le speranze lor poi dall’atfetto.
Fu Stefano Rovetta, che mi schiuse
I fonti d'eloquenza, e mi fé’ primi
Seguir le Tosche, e le latine muse.
Ha il poeta parole e espressioni cortesi per il
maestro; a lui si sente legato da sensi di vivo affetto:
Dotto era, assai mi amava, e volea porme
Di virtù in cima ma restai nell’imo.
Non compì tuttavia il Duranti i suoi studi a
Bologna perche
prima di finire U corso
Vollero i miei da quelli studi torme.
Dopo la prigionia nelle carceri di Venezia, di cui
abbiamo più sopra accennato e che ricorda in un
sonetto delle sue
Rime
(11):
Certo laggiù nella più trista, e tetra
Sorte d*Averno in pria trasse natura
Chi. per formar queste dolenti mura.
Qui ferro a ferro, a pietra giunse pietra.
Qui nè beta aura mai, nè Sol penetra.
Ma orrur vi regna, e densa notte oscura...
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