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IL MISTERO D'UNA BATTAGLIA DECISIVA

f l i l— lr» M r « a lic a Akbaila dalla Naraltaa

dello sfacelo nostro attraverso il

periodo che da Odoacre giunse

alla caduta di Desiderio.

Nè con (ioti, nè con Ostro­

goti, nemmeno con Bisantini, la

compagine italica era andata di­

strutta. Le condizioni sorte da tali

invasioni e interventi solo ostaco­

larono agli ultimi venuti il còm-

pito di rinserrare la Penisola in

uno Stato unico. Con l’occupa­

zione soltanto parziale della

nostra terra nel primo impeto

dell’invasione, i Longobardi, es­

tremamente partìcolarìsti, saran

portati al più grave travaglio

dell’insediarsi, dando luogo a re­

sistenze maggiori di cui, bene­

ficiando in prestigio, verrà a porsi

esponente principale il Papato.

A un secolo di distanza, l ’inevi­

tabile ripresa del programma in­

tegrativo di dominio, avrà da

affrontare questa nuova potenza a carattere spiri­

tuale, che or avoca a sè i diritti dell’impero tra­

montato.

Azione troppo tardiva. Dissimulata da continue

promesse d’ossequenza e dal gioco di adempimenti

sempre differiti, trarrà, per Astolfo e Desiderio, al

crollo del regno longobardo, ma anche alla rovina

della Nazione italica.

• * «

Veniamo, senz’altro, all'epilogo. Nell’urgere della

pressione longobarda, il nuovo pontefice Adriano I

sollecita aiuto da Carlo re dei Franchi, come già

avean fatto i predecessori suoi. E re Carlo, condotta

a termine nel 772 l’impresa di Sassonia, convoca,

l’anno seguente, a Ginevra, il «campo di maggio »

dei Franchi, per l’impresa d’Italia. Diviso in due

l'esercito, ne affida una parte allo zio Bernardo che

la guiderà pel Monte Giove o Gran San Bernardo,

e conduce egli stesso l’altra pel Cenisio.

Venuto al Monte Gèmino «porta del Regno

d’Italia », discende al cenobio della Novalesa, sopra

Susa; e vi è costretto a sì lunga sosta, da esaurire

tutte le provviste accumulatevi dal provvido abate

Frodoino, dato per santissimo con quel po’ po’ di

nome. A parecchie decine di miglia più in basso, le

sue schiere avevano urtato contro un sistema formi­

dabile di fortificazioni: una linea di mura, di bastite

e di torri, che, nell’impossibilità d ’opporre un eser­

cito altrettanto numeroso, re Desiderio aveva restau­

rata e rafforzata, verso lo sbocco di Val di Susa,

al luogo che serba ancora il nome di Chiusa d'Italia.

A mille, a duemila per volta i Franchi rinnova­

vano gli assalti a quei propugnacoli; ma sempre

invano, chè i Longobardi, guidati dal giovane figlio

del loro Re, il fortissimo Adalgiso, non solo stavano

saldi alla guardia difensiva, sì anche spesso compie­

vano sortite audacissime, a sorpresa e a strage del

nemico.

Tanto la piccola guerra s’era protratta, che le

Chiuse risultando insormontabili, re Carlo si dispo­

neva ormai a tornarsene in Francia, rinunciando

all’impresa; quando, narra Anastasio, Dio avu~. .

suscitato tale uno spavento improvviso in Desiderio,

in Adalgiso e in tutti i loro guerrieri, che, abbandonate

costoro le difese senz’essere assaliti, l ’esercito longo­

bardo mettevasi in fuga generale... Onde i Franchi,

finalmente accortisi, passarono all’inseguimento, me­

nando strage.

Racconto, se mai altro, ingenuo, dato dal

Chro-

nicon Xovalicense

in guisa così trascendentale da non

poter suadere. Nel groviglio di avvenimenti cotanto

remoti, molto incerta resta la questione, — a co­

minciar dalle cause e da’ modi dell’intervento del

re franco. dall’Anonimo Salernitano fatto dipendere

dal tradimento d ‘alcuni capi de’ Longobardi stessi,

a cui il Muratori aggiunge la supposizione che fosse

stato a istanza di Anseimo ex-duca del Friuli, cognato

d’AstoUo eppoi partigiano di Rachi e stato, da Desi­

derio, confinato monaco a Monte Cassino.

«Da tutto ciò, mancando notizie certe, possono

irsi immaginando spiegazioni varie della gran frrilitft

ch’ebbe Carlo, non solo di superare il passo

Chiuse, ma di ridurre in breve poi Longobardia

tutta »; osserva Balbo, il quale, nell’assenza di dati

autentici, ricorse ancora alle tradizioni favolóse, atte

almeno a render l ’eco de' grandi eventi nei tempi

successivi. E citando appunto • certa Cronaca

Novalesa », trasferita dai benedettini a Torino quando

nel 906 il ricco cenobio venne attaccato da nna banda

di Saraceni, poneva la leggenda dell'arrivo, un giorno,

al campo dei Franchi d ’un giullare, che facendo ruota

dinanzi alla gente d'arme prese cori a cantare:

— Che si darà in premio a chi conduca re Cario nel