

ONORATO D ’ URFÉ
assai accomodante come suole del resto accadere ad
ogni piè sospinto nella storia. Dopo 22 anni di matri
monio il fratello di Onorato d’Urfé dovette indossare
il saio del conventuale ed entrare in un monastero.
Onorato diviene così sposo di Diana. Le sorelle di
lui, sposandosi con notabili del Forez, avevano per
duto il loro cognome, prendendo naturalmente quello
dei rispettivi mariti. Il matrimonio quindi di Onorato
dl'rfé non aveva evidentemente altro scopo che
quello di potersi impossessare dell’ingente fortuna,
che gli sarebbe logicamente derivata. Onorato intuì
subito le finalità contingenti ed assiomatiche e co
minciò a sentirne un non trascurabile disgusto d’av
versione repulsiva.
L’incommensurabile passione che aveva plato
nicamente nutrita da tempo per quella donna prin
cipiava ad offuscarsi d’illusione. L ’idolo tendeva ad
infrangersi sgretolando. Egli si allontanò da lei tor
nando in Piemonte senza più curarsi di rivederla.
L'acredine acutissima della dolorosa sorpresa, forse,
e le malattie strapazzose minarono a poco a poco la
forte fibra di quell’uomo di cuore. Nelle cruentissime
spedizioni contro gli spagnoli invano cercò il sol
lievo della morte, che non venne.
La fine dolorosa sul campo di battaglia, combat
tendo strenuamente e pugnando da leone, agognata
desiderata ed invocata, come il refrigerio auspicatis
simo ai malanni infiniti ed intensi che gli angustia
vano il cuore e gli travagliavano Io spirito, non giunse.
Spagnoli e genovesi, alleati tra loro, tenevano in
quello scorcio di tempo, una buona parte della dolce
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Liguria, tentando frequenti incursioni in mezzo alle
gole ripide e rapide delle montagne ligustiche. Tra
Savona e Villafranca il passo più pronto e facile per
arrivare in Piemonte era, dice Vittorio Zan,
la strada,
denominata oggigiorno ancora,
dei francesi,
che da
Oneglia, lungo le sponde dell’impero, passa a Pieve
di Teco, per giungere al colle di Nava e di là a Mon-
dovì, dove si delineano le vie di Torino e di
Susa per rientrare nell’alta Savoja. Nella cittadella
di Castelvecchio gli onegliesi, fedelissimi ai principi
di Piemonte, resistevano superbamente agli spagnoli,
aspettando il sabaudo aiuto, che fece battere in riti
rata l’altezzoso e tracotante nemico. Racconta il
notaro Amoretti che Onorato d ’Urfé lo si vedeva in
Oneglia scrivere da mane a sera le più disparate cor
rispondenze ai suoi soldati, i quali l’adoravano per
questa sua lusinghiera benevola ed abnegante presta
zione e più per la sua proverbiale bontà di galantuomo,
fatta di squisitezza di sentimenti, ben ahi e nobilis
simi, quali s’addicono ad un perfetto gentiluomo.
Ad Oneglia il d’Urfé conobbe, nella sua non esigua
nè lieve permanenza, uno di quei scabini del tempo
ch’era tabellione insieme e notaro e che si chiamava
appunto Amoretti.
Lo scabino, lo si sa, era nel medio evo il magi
strato municipale cui era affidato il buon ordine ddla
città e l’amministrazione ddla giustizia. Questo Amo
retti ricevette dal valente capitano ogni sua confi
denza e trovandolo poi stanco ed affaticato ed ab- •
battuto non poco, lo consigliò di ritirarsi tranquillo