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CARLO E AMEDEO D I C A S T E LI.

.1

M ONTÉ

sissimo «pala/zo di piacere »che,

in certe epoche, superò le ma­

gnificenze del Regio Parco, di

Miratìori, del Valentino e, a detta

di scrittori del Sei e Settecento,

rivaleggiò con le maggiori ville

d’Europa. L ’edificio, che il The-

sauro, nella pomposa iscrizione

apposta sulla facciata, definiva

«a un genio guerrier gradito

hostello »— devastato purtroppo

irreparabilmente durante l'inva­

sione francese — aveva composto,

per oltre un secolo, uno scenario

di fasto e di raffinatezza difficil­

mente superabili.

Se la Reggia di Torino rimane

il frutto più conosciuto dell’in­

stancabile operosità di Amedeo,

questo palazzo della Yenaria —

nome derivatogli dagli svaghi

venatori a cui si destinava —

non è meno importante. Con l ’imponenza e l’ar­

monia delle sue linee, sebbene internamente ridotto

a rovine e da più che cent’anni adattato a uffici o

a casermaggio, esso domina tuttora la borgata in

breve sórtagli vicino e le conserva un caratteristico

aspetto di antica regalità.

Fu visitato con attenzione e sempre assai ammi­

rato dai viaggiatori italiani e stranieri venuti in

Piemonte nel Settecento. Il Lalande, un francese

che viaggiò l’Italia nel 1765 e ’66 lo diceva «il prin­

cipale tra i reali palazzi campestri, il maggiormente

decorato, quello ove il sovrano più volontieri va a

passeggiare ». Il Cochin, che v ’era stato nel 1746,

aveva notato la «galleria più elevata di quella di

Versailles, con le due estremità decorate con un

gusto teatrale ».

Risaltavano, come una preziosa raccolta d’arte,

i quattro piani costituenti il corpo principale: la

cosidetta

Reggia di Diana,

signoreggiata da un bel­

vedere, donde lo sguardo spaziava dalla rigogliosa

pianura ai pendii della valle di Lanzo. Negli apparta­

menti: statue, stucchi, intagli e, per testimonianza

del medesimo Castellamonte, non meno di quattro­

mila quadri dovuti a pittori di schietto valore, molti

de' quali addirittura celebri.

L ’architetto descrisse l ’edificio e le sue molteplici

bellezze in un prezioso volume intitolato appunto

La Venaria Reale.

Palazzo di (Macere e di caccia

ideato »— prosegue il frontespizio — «dall’Altezza

Reale di Cario Emanuele II, Duca di Savoia, Re di

Cipro, disegnato et descritto dal conte Amedeo di

Castellamonte l’anno 1672 ■: libro ricco di sessanta

tavole incise, stampato in Torino «per Bartolomeo

Zapatta, 1674 », dedicato «all’Altezza Reale di Ma­

dama Maria Giovanna Battista di Nemours, Du­

chessa di Savoia, Regina di Cipro, ecc. ». In codesto

volume (oggi non più reperibile se non in qualche

B

m

I* d a lla parto «M ia Caram la

(Da

mm

«rialo del CloareU. -U-p. di G. B. SUooa)

biblioteca) l’autore illustra i dipinti del palazzo, ne

spiega i fregi simbolici, riferisce gli innumerevoli

motti scritti sulle pareti, tesse l ’elogio dei Principi

effigiati negli affreschi, tuttociò fìngendo, o riferendo

effettivamente, una conversazione avuta col fan

Lorenzo Bernini, l’artefice del porticato di piazza

San Pietro in Roma, allora di passaggio per Torino,

reduce dalla Corte di Francia.

Dopo la Venaria un nuovo grandioso edificio

disegnò Amedeo di Castellamonte: l ’ospedale di San

Giovanni, di cui fu solennemente collocata la prima

pietra il 5 agosto 1680, alla presenza di Madama

Reale (1).

In città, fra l ’una e l ’altra delle opere maggiori,

egli ideava frattanto un’infinità di quelle effimere e

fantasiose costruzioni ad archi, logge, colonnati,

frontoni, che s’improvvisavano in occasione di nozze

o nascite nella famiglia ducale: edifici la cui vita non

durava più di qualche giorno e che dovevano esser

tuttavia d’un lusso complicato e fiabesco se si ascol­

tano le minute relazioni lasciate dai cronisti del

tempo. Il Castiglione, per esempio, nell’elogiare il

tempio dell’Èrcole Alpino e Gallico da Amedeo Ca­

stellamonte fabbricato in piazza Castello per la

memorabile festa allegorica immaginata dal conte

Filippo d ’Aglié col titolo:

Gii Ercoli domatori dei

mostri et Amor domatore degli Ercoli

(2), scriveva:

«L ’alpina macchina sì bene disegnò, eresse e rap­

presentò con naturalezza, che dubitarono gli occhi

tra il finto e il vero ■.

Oltreché nell’architettura civile, anche Amedeo

si distinse assai in quella militare. A lui passarono

le cariche già tenute dal padre. Fu, a sua volta,

sovramtendente deOe fabbriche e fortificazioni, uf­

ficio conferitogli con patenti del 2 aprile 1650, finché,

soppresso quel Consiglio, non fu nominato luogote­

nente generale deO’Artiglieria.

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