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SAGGEZZA DI AUGUSTO

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S t a la * 41 C e s a re A a g a a ta la

I

comandi straordinari, il vincolo del giuramento

da parte delle popolazioni, la inviolabilità personale,

e le magistrature repubblicane davano ad Ottaviano,

in quel momento, la posizione e l ’autorità d ’un mo­

narca. Ma questa autorità non poteva sembrargli

definitiva. Egli intendeva come il suo potere, in

quel momento, fosse dovuto principalmente alla

forza delle armi, delle legioni e della flotta che erano

ai suoi ordini, potere quindi instabile e pericoloso,

come gli insegnavano gli esempi di tan ti altri, da

L. Cornelio Cinna allo stesso M. Antonio. D ’altra

parte, l ’aspetto politico della ultima lotta poteva

e doveva, in ragione appunto del successo finale,

essere chiaramente ammonitore. La tradizione ro­

mana, il prestigio delle istituzioni repubblicane, delle

antiche leggi, certo più che l ’appoggio sovente illu­

sorio delle decadute classi dirigenti della repubblica

stessa, erano una forza non trascurabile. L ’avere

confusa ed identificata, con una modestia indicibil­

mente superba e lungimirante, la sua causa con quella

di Roma, del suo prestigio, del suo passato, aveva

dati i sue? trionfali risultati, ma aveva anche creati

obblighi e segnate direttive.

Pensare alla monarchia, come forse v i aveva

pensato Antonio, era assurdo. Sarebbe stato smi­

nuire Roma mettendola al livello degli Stati da lei

vinti, creando una forma di governo per cui nulla

era preparato, che avrebbe dovuto reggersi perma­

nentemente con la forza, che non avrebbe avuta

nessuna ragione di prestigio o possibilità di successo.

D ’altra parte una posizione personale predomi­

nante, circondata da garanzie di diritto pubblico e

da prestigio morale e religioso, era chiaramente ne­

cessaria, e da decenni questa necessità era stata

compresa dai più lungimiranti e realizzata da Cesare.

La vasta estensione dei dominii richiedeva una certa

uniformità di criteri amministrativi, un rigoroso con­

trollo, l’esistenza di eserciti stanziali, di una larga

polizia dei mari, di un potere, in sostanza, che, non

vincolato dalle pastoie che limitavano l’azione dei

magistrati repubblicani (veto,

imperium

soltanto

domi

o

militine,

collegialità), potesse prevedere e

provvedere per tutte le cose che richiedevano una

iniziativa sovrastante una religione o una funzione,

ma abbracciasse Roma- ed il suo impero, nel com­

plesso dei loro interessi, bisogni, problemi.

Impostato così il problema del principato cessava

d ’essere una aspirazione od una ambizione alla ti­

rannia d ’un generale fortunato, cessava d ’essere una

esigenza del tutto provvisoria e contingente. Anche

in questo Ottaviano continuava la sua politica for­

tunata ed acutamente realistica; le sue ambizioni

personali aderivano, coincidevano con i bisogni dello

Stato: e come combattè Antonio, e parve difendere

Roma mentre lottava per la sua supremazia, così

egli giunse al massimo potere quando l ’accentra­

mento personale era una necessità di v ita per lo

Stato romano. Ancora una volta egli seppe rendersi

indispensabile e riassumere nella sua persona i bi­

sogni supremi dello Stato.

I

suoi primi atti furono precisamente diretti

mantenimento della promessa fatta dopo la battaglia

di Xauloco: corresse ed abrogò molti atti arbitrarti

del triumvirato, procedette, con Agrippa, suo col­

lega in consolato, al censo che registrò 4 milioni e

63 mila cittadini, ed infine passò, sempre come con­

sole (avendo quindi, secondo la pratica costituzionale

posteriore a Siila, i poteri dei censori), ad una revi­

sione delle liste di senatori. Questo era uno dei com­

piti più difficili e più delicati della nuova opera

intrapresa. Il ceto senatorio, destinato a riprendere

posizioni di responsabilità e di comando, doveva

essere degno delle sue funzioni di ceto dirigente. Le

lotte civili avevano reso enorme il numero dei sena­

tori, ma naturalmente v i si erano introdotti elementi

non sempre degni, e sovente risolutamente avversi

al nuovo ordine di cose. Un certo numero accettò

di rinunziare alla carica (circa 60); molti altri furono

espulsi da Agrippa: pochissimi furono aggiunti da

Ottaviano, che voleva assicurarsi nel Senato un eletto

corpo di collaboratori.

La seduta senatoria del 16 gennaio 27 a.

C.

segnò

l’inizio formale del principato. Ne parla Ottaviano

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