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SAGGEZZA DI AUGUSTO

strazioni da lui direttamente dipendenti. Questa

cassa, il

fiscus Caesaris,

riceveva le entrate delle pro-

vincie, i contributi dei regni annessi allo Stato ro­

mano, e, talvolta, una partecipazione sui redditi

delle stesse provincie senatorie. D’altra parte, con

queste entrate di cui è facile intendere la cospicua

importanza, Augusto e tutti i suoi successori ebbero

la tendenza a provvedere nella maggior misura pos­

sibile alle spese dello Stato; sistema che Augusto

aveva adottato sin dal principio, e che, oltre ad

assicurare la fedeltà delle truppe, riusciva, in una

maniera sempre maggiore e sempre più stabile, a

quello che era uno degli scopi fondamentali di

Augusto, nella sua politica come nella sua ammini­

strazione, cioè a giungere ad identificare le persona

e l’autorità dell’Augusto con lo Stato stesso.

Questo accorgimento amministrativo, che, all’in-

fuori della semplice forma militare, assicurava la

potenza e la sicurezza del principato, fu da Augusto

continuamente perseguito, assumendo l’onere finan­

ziario di sempre nuove pubbliche funzioni, come

l'approvvigionamento del grano, la cura delle vie e

degli acquedotti d’Italia, delle rive e dell’alveo del

Tevere, la vigilanza per gli incendi, tutte spese che

gravavano sul fisco, aggiungendosi alle spese inerenti

alle funzioni proconsolari ed alla amministrazione

provinciale, ma accrescendo sempre più la indispen­

sabile ingerenza del principe nello Stato.

Non tutto l’impero però dipendeva dal principe

e dalla sua privata amministrazione. Gran numero

di funzioni politiche o, meglio, amministrative, in

Roma, o nelle provincie, tutti gli alti gradi dell’eser­

cito, richiedevano una classe dirigente. L’antica classe

che aveva creata la grandezza di Roma, senatori e

cavalieri, patriziato e ceti finanziari, doveva assi­

emare questo ceto. Il Senato chiamato da Augusto

a discutere le più elevate questioni dello Stato, a cui

apparteneva di diritto ognuno che rivestisse, fra le

antiche magistrature, almeno la questura, in cui

entravano quindi tutti i giovani i quali dalle discus­

sioni e dalla frequentazione dei più anziani formavano

la loro cultura e coscienza politica, fu la scuola ed il

centro dei più vicini collaboratori del Principe. Le

alte e basse cariche repubblicane, le nuove magistra­

ture, già note alla decadenza della repubblica, e

segnatamente i prefetti per l ’amministrazione civile

ed i legati per quella militare, fornirono al principe

quanti elementi direttivi gli erano necessari, al patri­

ziato risorto onori, prebende ed uffici, e, massimo

onore, che più di tutti avvicinava al principe, il

quale assunse ancora diverse volte, il consolato, che,

svuotato delle funzioni più importanti, restava come

altissima distinzione da molti ambita.

Alla sua opera nel campo amministrativo e costi­

tuzionale, faceva rispondenza l’opera assidua e vigi­

lante per la restaurazione dei valori religiosi e morali,

per la restaurazione della famiglia e per la creazione

d ’una solida classe di governo cui affidare gli uffici

del nuovo impero. Una serie di guerre che durò

tutto il tempo della sua lunga vita riuscì ad assestare

i confini dell’impero: l’opera di C. Giulio Cesare, la

soluzione del problema dello Stato da Cesare ideata

e imposta, si realizzava compiutamente, grazie alla

profonda saggezza politica di Augusto, il cui nome si

collega a quello del suo grande padre adottivo nelle

grandi opere, nelle vittorie, nella restaurazione del­

l ’autorità dello Stato, nella riforma religiosa e per­

sino nella fondazione di colonie in località la cui

importanza aveva già fermata l’attenzione di Cesare,

come quella che doveva divenire

Augusta Taurinorum.

Nella sua vicenda mortale glorie e dolori lo visi­

tarono. Capoparte scaltro ed audace, seppe far sì

che Roma, con la sua storia e la sua grandezza, fosse

la bandiera della sua fazione; in nome di Roma

vinse, e seppe tanto operare da far dimenticare la

sua causa e le sue ambizioni per fonderle e confon­

derle con la causa ed il prestigio di Roma. Grazie

alla sua abilità la crisi costituzionale, che travagliava

da un secolo Roma, si risolse in una forma monar­

chica che, con vivo senso della realtà, interpretava e

realizzava il piano cesareo per tutti i bisogni dello Stato

romano, salvava le suscettibilità dell’amor proprio

nazionale, provvedeva alla pace ed alla tranquillità

della vita pubblica, stanca di sanguinose e sterili

lotte. Resosi necessario allo Stato, se ne impadronì,

divenendone il centro, in ragione della stessa neces­

sità che di lui si sentiva; comprendendone le esigenze,

vi provvedeva ed in un’opera multiforme, difficil­

mente riducibile in sintesi, seppe, nel ciclo d ’una

vita tutta spesa per uno scopo, divenire, con una

assoluta sicurezza nella scelta dei mezzi, la vivente

personificazione d’un impero grandioso, multiforme.

Nessun principe, nessun uomo politico meritò forse

più di lui il titolo di

poter,

padre della patria, padre

dello Stato; poiché egli, erede di una repubblica

decadente e dall’opera grandiosa di Cesare,

ebbe

il

merito di aver salvato e conservato il nome, la tra­

dizione ed il prestigio di Roma.

MARIO ATTILIO LEVI

JC