Table of Contents Table of Contents
Previous Page  191 / 1821 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 191 / 1821 Next Page
Page Background

PORTICI E GALLERIE A TORINO

la testa a segno. Fine del 1772. «Provvistami in

Tonno una magnifica casa posta su la piazza bellis­

sima di S. Carlo », narra nella sua

Vita,

«e ammobi­

liatala con lusso e gusto e singolarità, mi posi a far

vita da gaudente ». Gozzoviglie con gli amici e svaghi

coi cavalli, di cui aveva «spinto il numero sino a

dodici e più ». Ventiquattr’anni d’età. <«Catene amo­

rose » e «lacci militari ». Si libera da questi non

avendo la forza di sottrarsi a quelle. È scontento di

sè, sdegnato dell’ozio, ma come non corrispondere

ai vezzi d’una sirena che abita proprio nella casa

di faccia? «Incappai di bel nuovo in un tristo

amore... ». Questa donna che lo dominò, dispotica e

irresistibile, era «distinta di nascita, ma di non

troppo buon nome nel mondo galante », più attem­

pata di lui d’ima decina d ’anni, da lui già conosciuta

quand’egli frequentava l ’Accademia. Il rivedersi l ’uno

alloggiato di rimpetto all’altra favori la relazione

tempestosa. « Infinite angoscie, vergogne e dolori... »:

tali, per sua confessione, i frutti di quel «bizzarro

e tormentosissimo stato » prolungatosi per venti

mesi.

Ma

Yodiosamata,

com’egli la definisce, doveva

pur possedere il segreto di profonde seduzioni se il

giovanotto prese ad amarla e in quella passione

«s’ingolfò fino agli occhi »! Vuole e disvuole, smania

di allontanarsi e non può; ammala e, guarito, riec-

colo presso la dama; poi cade inferma lei e, più che

mai invaghito, egli corre al suo capezzale. «Fedel­

mente le stavo a piè del letto seduto per servirla;

e ci stavo dalla mattina alla sera, senza pure aprir

bocca per non le nuocere col farla pariare ». Fu in

una di codeste «sedute » ch’egli, «dato di piglio a

cinque o sei fogli di carta», cominciò «senza aver

piano nessuno, a schiccherare» una scena di tra­

gedia e precisamente quello che, nel volume delle

sue memorie pubblicate dal Le Monnier di Firenze

nel 1861. entra come l ’«abbozzaccio » di

Cleopatra

prima.

Guarisce la signora. «Senza mai più pensare

a questa mia sceneggiatura »egli riprende «la depo­

sitai sotto un cuscino della di lei poltroncina, dove

si stette obliata circa un anno; e furon frattanto sì

dalla signora che vi si sedeva abitualmente, sì da

qualunque altro a caso v i si adagiasse, covate in tal

guisa quelle mie tragiche primizie ». Curioso destino

di pagine così decisive! Perchè, sì, esse furono più

tardi corrette e rifatte da cima a fondo, ma rappre­

sentavano intanto il primo passo, il ghiaccio rotto,

il confuso albore delle nuove aspirazioni e dei futuri

propositi.

Tuttavia, l’ebbrezza non svanisce.

Nel

maggio

del 1774 par intento a rompere il legame e medita

di partirsene

per Roma.

È così

poco fermo die,

giunto

a Novara, torna indietro; sosta, vergognoso,

in una

taverna alle porte di Torino; rientra «in città,

come

profugo, su rimbrunire*; pentito, invoca

udienza

dalla signora, supplica e ne ottiene un pieno

perdalo, poi, in apparenza tranquillo,

ù

rimette

in carrozza all'alba con l'intesa di stare iwaite

un

mese e meno al massimo. Reticenza: «gli spora,

una volta in viaggio, di star via assai di piti, e gua­

rire, rinsavire dalla sciagurata terzana. Giunto a

Milano, invece, non trova requie; scende a Firenze,

passa a Pisa e a Livorno: non c’è terra che lo tenga.

Lontano da lei, no, non è possibile vivere. E, tra­

scorsi appena diciotto giorni dalla partenza, «a spron

battuto, a cavallo »si riprecipita a Torino. Una sera

di gennaio del 1775 è con la signora in un palco al

Regio.

Ultimi disgusti. Questa volta la volontà lo

assiste. Riesce a finirla. Per evitare il rischio d’una

ricaduta manda a un amico la propria parrucca: dò

gli impedirà d ’uscir di casa e di tornare da colei,

«non essendo tollerato» mostrarsi senza treccia

«fuorché ne’ villani e marinari ».

La rottura era premeditata. In attesa del pretesto

per effettuarla, «già parecchi giorni prima » si «eia

sovvenuto di ripescare di sotto al cuscino quella

mezza

Cleopatra

». E d'allora, giù a scrivere, a poetare,

abbozzar scene, consultar grammatiche e dassici,

badando a vincere ogni mala tentazione. È di que’

giorni l’episodio, di scolastica memoria, dell’Alfieri

che si fa legare alla seggiola per garantirsi la costanza

allo studio. «Dura e risibile necessità praticata più

volte » egli confessa. Della

Cleopatra

fece due riela­

borazioni. La terza stesura fu rappresentata al teatro

Carignano il 16 giugno dell’anno medesimo. Dile­

guato, ormai, il ricordo dell’ammaliatrice. «

Spenta

è la fiamma che vorace ardea...

» si sfoga nd suo

primo sonetto, e stupirà, quasi, ripensando que’ pas­

sati «

affannosi pianti

», tali da ridurlo in condizione

«...

che vivo non era e non estinto

».

Lady Morgan, venuta a Torino nd

18x9,

andò a

visitare il palazzo di

Priè,

di fianco alla chiesa di

San Carlo, e scriveva: «Il marchese (di Cambiano,

successore nella proprietà del palazzo) d mostrò la

finestra ove l’Alfieri passava le notti e i giorni in

contemplazione. Occorreva un ben leggero sforzo

d’immaginazione per convincersi che un vecchio sofà

di satin verde era il medesimo descritto dal poeta

come quello ch’era stato nascondiglio della sua prima

tragedia». Agevole figurando, l'Astigiano, quando

sbucava sotto i portici, prima col mantdlone aggan­

ciato, il cappello sugli occhi, torvo e ansioso, rilut­

tante in cuor suo eppur docile ai voleri ddla dama,

poi, mesi dopo — vita mutata — franco e lieto,

prendendo tutt'altra direzione per andare, all’op­

posto lato ddla piazza — sull’angolo di contrada

Nuova e Santa Teresa — dal conte Agostino Tana

a presentargli rime e saggi sceniti e chiederne spas­

sionato giudizio: qud conte Tana che, insieme con

padre Padaudi, fu dell’Alfieri il sagace e prezioso

consigliere.

Nd secolo XVIII piazza S. Carlo — piazza

d'Armi

qua e là, di

le loro tende •

del