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PORTICI E GALLERIE A TORINO

tale. Le guerre del '48 e '49 avevano distratto l'at­

tenzione da questo progetto. Terminati i portici,

fu invece creato il bellissimo giardino ornato con una

vasca, da cui sgorga il limpido e gagliardo pennacchio

d'acqua che può innalzarsi fino a 35 metri. Anche qui,

l’amore a Torino e un desiderio di cose preziose

faceva fantasticare l’abate Baruffi intorno a compli­

cate possibilità, come quella, da lui asserita, «di fa­

cilmente trasformare la piazza in un magnifico pa­

lazzo di cristallo » a imitazione della consimile arti­

stica meraviglia di Londra, con laghetti, aiuole e

statue. Invece, ben altro c'era in cantiere. Nel 1860

s’avviava la costruzione dell’attuale stazione ferro­

viaria, architettata dall’ingegnere Alessandro Maz-

zucchetti, circondata per tre lati da giganteschi

portici accessibili alle vetture: stazione che per

parecchi lustri, in modo assoluto, rimase la più

pratica e la più comoda fra quante si venivano

costruendo in Italia.

* * *

Fra il 1854 e il '65 s’aprirono e si svilupparono

varie strade in parte abbellite da portici: la via

Nizza, porticata sul lato sinistro fino all’angolo di

via Berthollet; via Sacchi, fiancheggiata, sul lato

destro, da portici che si completarono nel dopo­

guerra e si estendono ora fino al principio di corso

Stupinigi; il corso e la piazza S. Martino; la via

, Cemaia, porticata a settentrione per l ’intera sua

lunghezza; e s’ornava d’un ragguardevole tratto di

portici, nel periodo medesimo, il corso Vinzaglio,

vecchia strada aperta nel 1847, allungata a più

riprese — nel 1864, nel '75 e ai primi del nostro

secolo — fino a detenere l ’odierno mirabile primato

di lunghezza fra tutti i corsi torinesi.

Dal 1855 cominciava inoltre ad arricchirsi di

portici, in tratti diversi a partire da via Urbano

Rattazzi fino airincrocio di corso Vinzaglio, quell’au­

gusto corso del Re che or fa un secolo limitava, a

mezzogiorno, la città e che dal 1878, per solenne

deliberazione del Comune, s’intitola a Vittorio Ema­

nuele II,

Nel 1864 un altro imponente geometrico recinto

di portici si erigeva: la piazza Statuto, i cui edifici

furono disegnati dall’architetto Giuseppe Bollati. Ne

aveva assunta la costruzione una società inglese,

donde, per molto tempo, il soprannome di «piazza

degli inglesi » assegnato dal popolo a quella piazza

con cui il Municipio si proponeva di sopperire all’ur­

gente bisogno di nuove abitazioni. La società costrut­

trice aveva ottenuto dal Comune speciali favori come

la cessione gratuita del terreno e la garanzia d’un

reddito lordo di lire 455.000 annue, con l’obbligo

per il Municipio di rifonderle la differenza eventual­

mente realizzata in meno. La convenzione, stipulata

quando ancora Torino era capitale d’Italia, si mostrò

insostenibile allorché, per l'avvenuto trasferimento

del Governo a Firenze, il prezzo delle pigioni prese

rapidamente a diminuire. «Nel 1874» dice una

40

vecchia relazione «il Comune venne ad accordi con

la società imprenditrice e mediante lo sborso di sei

milioni e duecentomila lire » acquistò la proprietà

«di tutti gli isolati costituenti la piazza », rivenden­

doli in seguito a privati con regolare asta pubblica.

Anche la piazza Statuto, co’ suoi portici che si

prolungano per il primo isolato di via Garibaldi, è

a buon diritto annoverata fra le più pittoresche di

Torino. I visitatori vi si soffermano ad ammirare il

monumento al Traforo del Frejus: monumento a

massi di granito, inaugurato nell'ottobre 1879, ideato

dal conte Marcello Panissero di Veglio, ed al quale

lavorarono parecchi artefici: lo scultore Luigi Belli,

che modellò le statue, il commendatore Tabacchi che

ne diresse l ’esecuzione, gli allievi deU’Accademia

Albertina che le scolpirono; infine, le officine dell’Ar-

senale che provvidero alla fusione della statua del

Genio, alta quattro metri. Ma che significa quell’obe­

lisco di marmo collocato nella piccola aiuola circolare

a ponente? È la cosidetta guglia Beccaria: alcuni in

passato, la chiamavano addirittura la

piramide

Bec­

caria. Rammenta — trascriviamo dal Borbonese,

— che lì era «uno dei punti estremi della misura

matematica di distanza fra Torino e Rivoli, scelta

dal celebre Padre Giov. Battista Beccaria come base

ai calcoli trigonometrici ch’egli dovè istituire » per

incarico affidatogli nel 1760 dal Re Carlo Ema­

nuele III, allo scopo di «misurare il grado del meri­

diano di Torino». Aggiunge il Baricco che «il mo­

desto monumento, già logoro per vetustà, fu rinno­

vato nel 1861 » quando il livello del suolo, in quel

punto, venne rialzato per la creazione del sottopas­

saggio ferroviario.

Ultimi portici, costruiti verso la fine del secolo/

scorso: quelli di via Pietro Micca e via Viotti (1)./

• * *

Resta da accennare alle gallerie. Il caso vuole

che la prima a sorgere sia stata anche la p»ima a

scomparire. La Galleria Natta cadde un anno e

mezzo fa nei lavori per il rinnovamento di via Roma.

Parlarne, vuol dire commemorarla. Era stata aperta

nel 1858 su disegno dell’architetto cav. Barnaba

Panizza, in quel palazzo all’angolo nord-ovest della

piazza San Carlo, il quale aveva appartenuto dap­

prima al conte Federico Tana d’Entraque, poi al

conte Natta, cui si deve la costruzione della galleria

che da lui prese nome.

L ’edificio fu poi acquistato dal banchiere Ulrico

Geisser e la galleria assunse il nome del nuovo pro­

prietario. Era larga cinque metri, alta nove, coperta

da cristalli e fiancheggiata da eleganti botteghe, su

cui correva un piano di ammezzati. Dall’ingresso di

(1)

Nel

1915

si apriva pei il magnifico tratto di portici

del palazzo

Ciwnma-Gkrsi,

sulla nuova linea edilizia

di

via Roma, il cui allargamento era già stato deliberato

dal

Consiglio comunale nella seduta del

27

aprile

1914

.

In tutto, i portici torinesi sviluppano una pasteggiata

di quasi tre chilometri e mezzo.

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