

PORTICI E GALLERIE A TORINO
via Roma procedeva diritta per una cinquantina
di metri nell’interno del
palazzo,
poi, svoltando ad
angolo retto, con un secondo braccio di uguale
lunghezza usciva nella via Santa Teresa. P«*r quin
dici anni fu l’unica galleria torinese e suscitavano
orgogliosa ammirazione le sue «pareti incrostate di
marmo », i «lucenti cristalli dei parapetti , nonché
«la splendida illuminazione serale ».
In fondo al primo braccio, nell’angolo, v ’era il
caffè-ristorante della Meridiana, con giardino, salone
e salottini, aperto di solito fino a tarda ora della
notte, frequentato da artisti, giornalisti, critici e
letterati, tra cui, assidui, Edmondo De Amicis e
Giuseppe Giacosa. Per diversi anni i salotti del Meri
diana raccolsero così, a lieti conversari e a fiere
discussioni, il fiore deU’intellettualità torinese. Vi si
analizzavano i più recenti successi teatrali, si va
gliava il romanzo ancor fresco di stampa, si demo
liva o si portava alle stelle, talvolta si scarnificavano
opere, autori e interpreti, tal'altra si gridava alla
rivelazione. Un bel giorno i gruppi si dispersero o
mutarono ritrovo; il caffè si trasformò in un cinema
tografo popolare; nel dopo-guerra era diventato un
teatro di varietà di modestissimo ordine. La galleria,
a poco a poco, decadeva. Sic
transit...
Dopo settan-
tatrè anni di vita, nessuno ne ha rimpianto la per
dita, tanto più che la galleria Geisser, quale Fenice
rinascente dalle sue ceneri, è già risorta dalle proprie
macerie più bella e maestosa nella nuovissima gal
leria di San Federico che segue, amplia e perfeziona
il tracciato della vecchia.
• • •
Dal 1875 la galleria Natta aveva una sorella più
fresca nella galleria dell’industria Subalpina, co
struita in solo diciotto mesi tra le piazze Castello e
I Carlo Alberto, nel palazzo in cui risiedeva fino al 1863
il ministero delle finanze. Col trasferimento della
Capitale quel palazzo passò al Municipio che nel '73
lo cedeva alla Banca Subalpina, facendole obbligo
di mettere in comunicazione le due piazze con un
grande passaggio coperto. Diè il disegno l ’ingegnere
Pietro Carrera e i lavori cominciarono nel giugno
dello stesso anno.
La galleria Subalpina, tuttora linda, luminosa,
tenuta am ogni cura, divisa in due (mimi, am un
ballatoio che le corre tutt'intorno sopra l’ammez
zato, con due bellissimi scaloni che portano ai piani
superiori, è lunga quarantacinque metri, larga quat
tordici e alta diciotto nel punto massinio. Tatti
sanno come sotto la galleria sia un salone di 425 metri
quadrati, adibito a pubblici spettacoli, dapprima
teatro di varietà, poi cinematografo, in seguito sede
sperimentale per i filodrammatici del Dopolavoro,
adesso caffè-concerto.
L'edificio ove s’apre la galleria era stato — fin
dal
secolo XVIII — per eccellenza il palano delle
finanze: fu un tempo, anzi, che vi si raccoglievano
tutte le branche di quest’attività governativa. Erano
lì, nel 1750, le Segreterie di Finanze, l ’Uffìcio del
soldo, la Dogana, la Tesoreria generale e la posta
delle lettere. Certo, anche la galleria Subalpina co
nobbe periodi di animazione assai maggiore di quella
che oggi non presenti, specialmente quand’era la
via più diretta per andare alla Posta Centrale, situata,
fino al 1910, nel palazzo di S. Filippo, attuale Casa
Littoria, ove la sala di adunanze del Circolo Rio
nale Fascista «Mario Gioda », con ingresso da via
Principe Amedeo, conserva l’identica struttura del
l ’ex salone adibito ai servizi per il pubblico. Sicché,
per trentacinque anni, questo fu senza dubbio uno
tra i punti più frequentati della città.
Un ricordo onorifico e triste ad un tempo. Nel
palazzo della* galleria abitò l’autunno e l ’inverno
del 1888 Federico Nietzsche, che aveva preso in
affitto dalla famiglia del signor Davide Fino, proprie
tario d’una vicina edicola giornalistica, poche stanze
all’ultimo piano, con entrata dalla via Carlo Alberto
n. 6 e finestre prospicienti l’omonima piazza. Il grande
filosofo vi trascorse mesi d’intenso lavoro. «Egli
sembra abbandonarsi a un afflusso di gioia » rileva
l ’Halévy «e ne attribuisce il beneficio al clima di
Torino... ». Sintomi del terribile male che già lo
aspettava, in agguato? Intanto, in varie lettere, egli
esprimeva con esuberante fervore la propria soddi
sfazione per la città, i suoi teatri, i suoi caffè, i sr™
palazzi, la sua eleganza. «Torino »scriveva all’amico
Peter Gast •
è
una scoperta capitale. Ve ne parlo con
l’intenzione che voi pure possiate profittarne. Il mio
umore è buono, lavoro dal mattino alla sera — un
piccolo opuscolo sulla musica occupa le mie dita —
digerisco come un semi-dio, dormo nonostante il
fracasso notturno delle vetture... ».
Giuseppe Deabate ci ha lasciato le seguenti no- v
tizie, attinte dalla stessa famiglia Fino e da lui
pubblicate nella «Gazzetta del Popolo della Dome
nica » dell’ottobre 1907: «Si alzava il mattino di
buon’ora per il passeggio. Tornava a casa dopo cola
zione, prima del mezzogiorno, e si poneva al lavoro,
a cui attendeva assiduamente. Usciva di nuovo
verso sera per il pranzo, sempre con le piò vive
raccomandazioni che nè le persone di casa nè Mad
dalena — la donna di servizio — toccassero o spo
stassero alcuno dei libri o delle carte ammontic
chiati sullo scrittoio. Per lo più rincasava di buon’ora.
Una vita regolare adunque e tranquilla di studioso
solitario ».
Poi, un giorno, in via Po successe il noto peno
sissimo incidente, primo allarme dell'infermità men
tale da cui il Nietzsche più non doveva riprendersi.
Fu indotto a mettersi a letto e a farsi visitare da
un alienista, il dottor Turina, presentatogli come
amico di famiglia. Il Fino medesimo, visti i pro
gressi del male, faceva quindi chiamare a Torino il
professore uveDerea, insieme coi quale u mosoio
lasciò fl palazzo di via Cario Alberto per tornarsene
in Germania, dove, l’anno dopo, entrava Ih una
casa ai saiate.