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FEL ICE CARENA NEL MIO STUDIO

In Te invece il cavallo egualmente

plastico e vibrante di luce com­

pone meglio ed è menoprepotente;

Tu più moderno hai superato l’in­

tuito decorativo, hai voluto darci

l’assorto librarsi di un pensiero

religioso su quelli uomini raccolti

a mensa nella grande ora. Il ma­

gnifico gioco della luce invade da

sinistra a destra la tela, crea l’am­

biente rurale, con la tavola di

tralice, la bottiglia, i pani, il

piatto, ma più le quattro figure

dei Pellegrini e tutto che vien

fuori senza lenocinii, con una re­

ligiosa nudezza, senza aggettivi,

senza superfluità, quasi abbia vo­

luto castigare il tuo spirito, co­

stringere la tua capacità a dire

con la sintesi più scabra ed es­

senziale il sentimento che domina

tra grandi ombre e luci la stalla.

Composizione dunque che pare

nostalgia dei tempi in cui il com­

porre fu oceanica virtù dei co­

lossi da Giotto a Tintoretto. Nudo

come un Del Castagno e scabro, luminoso come un

Caravaggio, intimo come un Chardin.

Dal sensismo coloristico sorseggiato alla scuola

di Grosso (penso il «Ritratto di Sacerdote » 1912) sei

asceso fino alla «Susanna >»del 1924, fino a «Sere­

nità » della XV Intemazionale veneziana del 1926

ed alla «Scuola »del 1927. Ed anche in questa opera

che è stata Premio Camegie del 1929 l’amore della

grande composizione è seriamente sentito con aspi­

razioni alle celebri scene trasversali di Goya e certo

con il miraggio inequivoco deU’immortale Rembrandt.

(La lezione di anatomia del professor Tulp, Museo

dell’Aja). E ricollochiamoti dunque subito dopo il

meraviglioso Seicento, dopo Michelangelo Merisi da

Caravaggio, dopo la grazia estatica delle composi­

zioni di Furini. In questi (« Ila e le Ninfe »in RR. Gal­

lerie di Firenze) un periglioso avviarsi verso le ecces­

sive emotività del Settecento; in Te, o Carena, le

figure ignude di « Serenità » affermano una salvezza

ritrovata nei valori pittorici. Manca solo ima delle

forze eroiche della pittura conquistata da Tinto­

retto: il moto. Ma già vive il preludio che sarà

forma ed emozione italiana.

Le ultime cose di Carena paiono opera di uno

spietato filosofo; spietato con sè; trasceso ormai nelle

regioni iperboree del puro spirito. Il grande ideale

a pena abbozzato allora, in via Valperga Caluso,

o Carena! Ed eccoti qui, nel mio cenobio deserto,

ardente di lavoro, assente quasi dal mondo, eccoti

qui, ancora tutto rossiccio, pallido, magro, inquieto.

Nel profondo sorridere, a sommo delle tumide labbra

rosse, comé lo spacco d’una melagrana ferita dal

vento e dal sole di Liguria mia, erra sempre, ancora,

il fascino amaro e tremendo di quella «Non vista

e non intesa » che già allora veniva a baciarti nello

studio squallido: la Gloria! (1).

ITALO MARIO ANGELONI

(

1

) Scritta qualche mese prima della Esposizione di

Venezia esprime un vaticinio che oggi, nel trionfo vene­

ziano, è realtà raggiunta.

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