Table of Contents Table of Contents
Previous Page  642-643 / 1821 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 642-643 / 1821 Next Page
Page Background

FELICE ( A RE SA S E I . MIO S T I ’PIO

FE L IC E CARENA NEL MIO STUDIO

L a S c u o l a •

(1937-1<KH)

zebrati di strie cinabro, ocra gialla, viola. Più giù

un ondulamento di vallette smeraldo, rigate di stra­

dine e di ruscelli. Qui, in primo piano tre larici

corposamente carichi di luce d’oro, balenanti di

cadmio. Il colore vi è sensuale: una « baita » remota

sopra uno dei più lontani dossi è la inerte nota

romantica e grigia del quadro.

A destra, in un cantuccio, scritto in fretta:

« S. Moritz, 7-903 » e più sotto con lettere franche,

staccate: « All’amico Angeloni con sincero affetto -

Felice Carena - 905 ».

Così, Carena è d’improvviso nel mio studio ed

il campanello non ringhia più!

— Tu! Tu! Ma che festa! Che gioja! — Non so

più parlare: le mani contro il petto, fìsso lui. Alto,

magrissimo, rossigni i capelli, l’esiguo pizzo sul mento;

la faccia scarnita, divorata dai sogni è invasa da

ondate di efèlidi che conferiscono alla melanconica

figura la forma-colore d’un mosaico bizantino. Pro­

fondi e tristi gli occhi azzurri, fermi, confidenti, sì,

che paiono dirti: Caro!

La bocca carnosa, grassetta; labbra che s’orlano

di sangue come lo spacco d’una melagrana; tutto il

viso angoloso è pésto da un’insonne inquetudine

d’artista. È Felice Carena del 1905 vivo, tornante.

Penso al volto scabro, angoloso esso pure, di Ma­

saccio, morto così giovine e così immenso.

— Vieni dunque! Oh, bravo!... Ma, dovrei dire:

Eccellenza.

Che balzo nel tempo! Che intenerimento di ri­

cordi!

Via Valperga Caiuso; brutto, povero studio, al

caldo plebèo di un sottotetto. Pareti nude da ce­

nobio, qualche Tanagretta, molti numeri del « The

Studio » che allora era la gran voce straniera della

sapienza estetica; due stinti tappeti ed un saccone

sdrucito dalle cui lacerate membra scattava « le

crin d’Afrique », a ciuffi disperati come la chioma

d’uno « scapigliato ».

Li, non c ’era dunque che la nostra gioventù;

io maggiore di quattro anni, Tu più alto, più grande

di molto! Ci univa una freschissima ammirazione

per Segantini; parlavo sempre io, come farò oggi;

allora era lontano il Pensionato di Roma; lontana

\enezia, la gloria... e... poi l ’Accademia!

Terribili giorni d'isolamento quelli; per Te, per

tutti noi. Intorno all’Arte un gran gelo; trascurate

le Scuole, indifferente il pubblico; lo Stato non

aveva nè tempo, nè voglia di occuparsi d’Arte. La

feroce democrazia di un ministro confondeva in

divina ignoranza l’autore di «Giambi ed Epòdi »

con Gabriele D’Annunzio. Più isolato, oscillante,

d’ogni altra regione, il Piemonte. E Tu? La casa

piccola, borghese, vegliata da quella dolce «Madre »

che è stata come una benedizione fra le tue pitture.

È il quadro che più ti lega spiritualmente a Leo­

nardo Bistolfi ed a Giovanni Cena. In quel pantàno

di scetticismo politico e religioso « Madre » è stata

una seria e taciturna affermazione di sentimento;

è stata come uno schiaffo sulle frolli inerzie d’una

società positivista. Ojetti vi sentì un richiamo a

Carrière. Ma si capisce: Carrière! — Ne avevamo

parlato a lungo sul sofà scapigliato — Carrière ti

era più vicino di quello che non fosse il senatore

Giacomo Grosso così verista, sensuale, impetuoso,

aderente alla materia, che, quando ancora oggi,

guarda una rosa, una stoffa, un frutto se li ribeve

con gli occhi sempre nuovi e sorpresi del fanciullo.

Il mondo, allora, come oggi, è da lui sentito in blocco,

non rinuncia ad uno degli elementi che esistono, che

vede, che conquista con una gioja sensuale da cui

Tu, discepolo, come Mantegna discorde da Squar-

cione, potevi dissentire, ma che un giorno, come il

Padovano, dovrai lasciar filtrare nei tuoi nervi, nelle

corposità dei tuoi colori, nella plastica dei tuoi nudi,

nella ghiotta sostanza delle tue frutta.

Ma, allora, 1900, nell’analisi del tuo spirito, come

per Carrière, ci fu ben altro. Da Wagner a Scho­

penhauer, al genio russo era passata una rivolta

romantica contro il gelo del materialismo. Il cul­

mine della reazione non poteva essere, per artisti

pieni d’anima, che l ’isolamento. Nelle nostre solitu­

dini Tu hai sentito Carrière interrogare liricamente

il futuro, mentre subordinava la venerata formi al

sentimento morale.

Tua «Madre », il.« Fanciullo dalla mela verde »

furono su questo binario, meglio su questa vetta.

Epperciò la visione italiana del tuo tema è anche

un poco quella che s'illumina nel quadro dell’altro,

al Lussemburgo.

Oh, perchè non deve essere bello così? Che cioè

Tu e Carrière abbiate vissuto sullo stesso parallelo?

Michelangelo fu un poco come Jacopo Della Guercia;

Kibera fu un poco come Caravaggio; pure le perso­

nalità sono integrali.

Ma ecco; ho fatto un nome che mi dà la gioja

di poter meglio penetrare la tua opera d’artista.

E tanto per dire, rifacciamoci un poco a difen­

dere, se pur n’ha bisogno, questo Piemonte pittorico

e pittoresco. Quanta gente ha il vezzo di negare al

Piemonte una individualità estetica! Poche regioni,

invece, hanno sentito con tanta inquietudine il tor­

mento della raffinata espressione del colore. Già lo

rivela il periodo eroico dell’acquafòrte ligure-pie­

montese del tempo di Rayper e degli altri « Riva­

resi ». Esploderà, è vero, nelle pennellate, allora

rivoluzionarie di Pittara; vivrà per la gioia di Pasini,

s’imporrà come problema di luce in Avondo e nel

Ricci; poi sarà trionfale passione piena di capacità

sculturali in Delleani, o zoolianamente cruda ricerca

nel Pascal, o violenza mediterranea nelle marine del

( orsi, in quasi tutto Tavemier e del tutto in Caval­

ieri Vittorio.

Esplode quindi il colore nei tripudi e nei misteri

deU’Oriente pasiniano, negli acquosi pendii biellesi

di Delleani, nella sensualissima forza di Giacomo

Grosso. E, poi, di un altro pregio bisogna tener

conto. La pittura piemontese dell’ultimo Ottocento,

come la pittura toscana del Quattrocento, ha sentito

di dover imparare qualcosa dalla scultura. Quassù la

scultura tra Otto e Novecento ha avute ore gaudiose.

!)a Calandra a Bistolfi a Rubino si può dire che la

scultura piemontese, con le sue evidenze tecniche ed i

suoi problemi spirituali abbia tenuto il primato nelle

L a M a d r e 4 1 F a l l e * C ar a u a

arti; ecco perchè la preoccupazione plastica nella

pittura piemontese è logica, particolarmente nel

tempo di cui parliamo, anche a prescindere da

suoi preludii che si potrebbero benissimo rinvenire

nelle tavole di formato minore di artisti antichi,

come Defendente Ferrari; vedi la sala piemontese

della Pinacoteca Reale di Torino.

Ora il Piemonte è lì con i suoi tre C.: Casorati

da Novara, Carrà da Quargnento, Carena da Torino.

In tutti e tre un cerebralismo che li stacca dalla

camerata degli anziani; non dirò qui della ironia,

del senso decorativo in Casorati, nè delle sintesi di

Carrà. Mi preme parlare di Te, dopo questa paren­

tesi per vedere di costrurre la tua fisionomia estetica

secondo i miei studi e la mia sensibilità.

L ’ambiente di Carena anteguerra: raccolto in una

piccola casa modesta dove, l ’amore per la Monarchia

e per la Religione era in atto. Soldati: il Babbo, il

fratello e più tardi lui artigliere in linea nella grande

guerra. Preghiera: pietosa cura della Mamma; sacer­

dote predicatore: un fratello. Atmosfera affettuosa,

vivere modesto di tutti; in quella vita si matura

la passione del libro, delle riviste belle, l’avidità

della conoscenza, la incontentabilità che lo trae a

varcare i confini del Piemonte e più quello dell'Ac­

cademia Albertina, dove Giacomo Grosso può con­

durlo soltanto fino alla vigoria del colorito.

Ma Carena è un meditativo; per questo la com­

pagnia che cerca è di poeti e di mondi lontani dal

suo. Ripenso le ammirazioni per Burne Jones e più

tardi (vedi certe sue nature morte) per Cèzanne ma

sopra tutto Gaugin e Van Gogh.

In lui ebbero maggiore dominio, anzi predominano

ancora, la poesìa, il raziocinio interiore; la pittura

dovette essergli mezzo non fine.

li

il

34

\\