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G IO R N A L I SM O A N T I C A V O U R I A N O A TO R INO : CARLO BEO LCH I

del giorno » con cui invitava l’esercito ad annodarsi

intorno alle insegne e afferratele «correre a piantarle

sulle sponde del Ticino e del Po ».

Squilla più vibrante di amor di patria, voce più

alta di idealità, non poteva risonare in quei giorni

in cui Torino pareva dovesse cadere in piena anarchia;

nè si avrebbe dovuto tener calcolo dell’atto di Carlo

Felice, perchè, come scriveva il Santarosa nel suo

proclama, «un Re piemontese in mezzo agli Austriaci,

nostri necessari nemici, è un Re prigioniero: tutto

quanto egli dice, non si può, non si deve tener

come suo ».

I

moti del ’2i in Piemonte seguivano quelli di

Napoli e si svolgevano in un con quelli di Milano per

opera de* Carbonari. Carlo Alberto vi proclama, con

alcune varianti, la costituzione spagnola del 1812,

ma Carlo Felice da Modena non acconsente e la

riprova. Ma ecco che la rivoluzione lombarda cade

e cade anche con fulminea rapidità il moto piemon­

tese, moto magnanimo che gettò il seme di libertà

nell'avvenire. Si ponga mente che il proclama di

Carlo Felice è del 13 marzo e che all’8 di aprile era

già sciolto il Governo costituzionale della Giunta

piemontese. La reazione assolutista, lo sfacelo del­

l’esercito, l ’entrata in Piemonte del Conte Ferdinando

di Bubna a capo delle truppe austriache, spinse gli

autori della rivoluzione alla fuga. Svanito anche l’ul­

timo tenue filo di speranza sulla resistenza di Ales­

sandria, conosciuta la scomparsa del comandante

Guglielmo Ansaldi, i patriotti scesero tra il 9 e l’u

del mese ad Acqui, e poi, per la via di Savona, si

affrettarono verso Genova, ignorando come il Des

Geneys, governatore della città, avesse riorganizzata

la vecchia amministrazione e fatte chiudere le porte

della città.

Tra i profughi di questo periodo pieno di incer­

tezze, ma in cui si gettavano i primi gloriosi germi

dell’indipendenza nazionale, si trovò lo storico che

ne dettò per così dire i Commentari; egli fu l’avvo­

cato Carlo Beokhi di Arona, volontario nell’ufficio

dell’insinuazione a Traino, che veniva condannato

con sentenza del 28 settembre 1821 dalla Regia

Delegazione, insieme con Amedeo Ravina, Giuseppe

Avezzana, Francesco Tubi, ed altri molti, «alla pena

di morte c d supplizio della forca », «per essere stato

alcuni giorni prima dello scoppio della ribellione

aggregato all’assemblea dei capi della congiura, e

quindi il 9 marzo avviato a Pinerolo per ivi far

eseguire qualche movimento delle troppe, che erano

colà stanziate >.

• • •

Oltre ad averci narrato l’episodio di S. Salvano,

scrisse le

Remmscetue idi'esilio,

che d presentano

le vicende degli esuli del 1821 in Spagna e d conser­

vano memoria di nno spettatole ed attore ad va

tempo, delle gesta comprate nella guerra di Cata­

logna, e i dolori nelle terre lontane defl'esflio. Scritte

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a narrare, pubblicò la prima parte delle

Reminiscenze

a Londra nel 1830, che più innanzi nel 1853 ristampò

a Torino con qualche variazione « a toglier via i

difetti propri dell’età in cui l ’autore le dettava ».

Il

Beolchi, che fu uno dei principali congiurati,

compromesso come era nell’episodio di S. Salvario

del 10 marzo 1821 e negli eventi successivi, dovette

con altri compagni cercar scampo nella fuga e nel­

l’esilio.

Riparato con la folla dei compromessi prima in

Asti, poi a Savona, il 10 aprile 1821, un’ora prima

di notte, il Beolchi giungeva in compagnia di tre

ufficiali del presidio di Torino a San Pier d’Arena che

formicolava di costituzionali fuggiti dal Piemonte

dopo lo scontro di Novara del 7-8 aprile. Speravano

essi di poter entrare in Genova, ma venivano avvertiti

della contro-rivoluzione. Il Des Geneys non permise

che a pochi l’ingresso in Genova, procurando che la

maggior parte fosse alloggiata in San Pier d ’Arena.

Ebbe tuttavia il Beolchi la fortuna di imbattersi in

un genovese dabbene e generoso, certo Andrea Co-

pello, che lo fece entrare in Genova, lo ospitò nella

sua casa e gli procurò l’imbarco per Barcellona.

Fu alla liberalità e nobiltà d’animo del Gover­

natore Des Geneys che dovettero i profughi la loro

salvezza. A Genova il Beolchi si imbarcò sul brigan­

tino

Licurgo

con altri 98 compagni; la piccola nave

era al comando del capitano Gio. Battista Solari;

il 19 aprile egli giungeva a Barcellona nella fertile

e popolosa Catalogna dove, con i suoi compagni, fu

fatto segno delle «più cordiali dimostranze d’amore­

volezza e fratellanza ».

Con i piemontesi erano approdati anche alcuni

esuli napoletani, pure benevolmente accolti, a cui il

governo decretò «un’annua pensione da pagarsi dal

pubblico erario ».

La presenza di tanti soldati esuli dall’Italia adu­

nati tutti o quasi in Barcellona, impensieriva il go­

verno, che escogitò la misura di «disperdere » quel

nucleo di fuorusciti, ed emanò un decreto che distri­

buiva gli emigrati a gruppi di due o tre per ogni

borgata o piccola rittà della Catalogna. A colmo di

sventura sopraggiungeva il terribile flagello della

pestilenza che infierì particolarmente a Barcellona,

e il Beolchi, che si trovava quivi, si trasferì nei

dintorni e potè cori miracolosamente sfuggire alla

morte. Non cori il Sismonda, dottore in mediana,

esule piemontese, che fu la prima vittima del morbo

fatale. Fn il Sismonda stesso a scoprire e a denun­

ciare per il primo la febbre gialla, ma non venne

creduto. Dopo di lui morì il medico Rattazzi di

AirMandria, mio dei membri della Giunta di governo

di qaeOa dttà; poi il tenente Schierano dei dragoni

del Re (1).

Scomparso sul declinare di novembre il morbo e

mutatesi le condizioni politiche di Spagna, gli esali

sardi, die da circa trecento èrano saliti afla metà di

iM jpn a oltre cinquecento, deliberarono di chiedere

al governatore militare della provincia di essere ar­

mati e di poter partecipare afle azioni di guerra

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