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I concerti orchestrali al Teatro Regio

Già si è accennato da queste colonne alla

importante stagione lirica la quale, seguita

con interesse, si chiudeva con

II Re

di Um­

berto Giordano e

L 'Amore medico

di Er­

manno Wolf-Ferrari.

Nè la serie di concerti sinfonici fu meno

attraente : sia pel numero delle tornate, sia

ancora pel nome e l ’ autorità dei maestri pre­

scelti.

Questo susseguirsi di direttori, ciascuno

dei quali segue un proprio criterio e la pro­

pria sensibilità, potrebbe forse lasciar adito,

in sede artistica, a qualche riserva, ove si

consideri la fatica cui nell’ alternativa di bac­

chette differenti, è sottoposta la nostra otti­

ma e magnifica orchestra stabile. E ’ , tutta­

via evidente che le stesse ragioni potreb­

bero, d’ altra parte, addursi a favore della

tesi, in quanto lasciando libera la scelta del­

le opere, ogni interprete risulta in grado di

porgerle nella loro luce, in ragione diret­

ta, appunto della simpatia e della risonanza

del singolo direttore.

Così se da un punto di vista assoluto e

teorico, può parere infirmata la compagine

del programma, l’attrattiva viene per con­

tro, ad essere accresciuta dalla diversità

stessa delle personalità che si avvicendano

sul podio; diversità non singole soltanto,

ma di razza, di scuola, di sistema e di me­

todo; ognuna degna di attenzione, quando

uno è il supremo fine : avvicinarsi all’opera

d ’arte e farla rivivere nell’ attimo che fugge

della sua eterna bellezza.

Che la Società del Teatro Regio, poi, si

sia preoccupata di infondere un senso di

elasticità e di rinnovamento risulta manife­

sto dal grande numero di opere sconosciute

incluse in programma : classiche, romanti­

che e novissime. Ed è questa latitudine un

altro stimolo di vita efficace che se talora

non si risolve in un utile immediato, lascia

non pertanto, solchi profondi nella sensibi­

lità dell’ ascoltatore, il quale trova ulteriori

moventi per orientarsi e per comprendere,

in una sfera sempre maggiore, l ’ inesauribi­

le linguaggio musicale.

* * *

Ecco, diretti da Antoine Fleischer, due

concerti di musica prevalentemente unghe­

rese, coi nomi di illustri compositori odier­

ni : Francesco Erkel, Bela Bartok, Zoltan

Kodàly, Nicola Radnay ed Ernesto von

Dohnàny; poemi, «suites», « ouvertures »,

ove la chiara vena popolare si accende di

smaglianti colori strumentali e talora, muo­

vendo da melopee appassionanti, o gioiose,

o dolenti, giunge alle armonie più acri e

sarcastiche. Provincialismo ed internaziona­

lismo insieme, dottrina attinta dalle nazioni

più evolute e bizzarrie alle quali l’autore

sembra, tuttavia ribellarsi per ritornare alle

origini ; a quella instabilità fonica e ritmica

le quali sono caratteristiche dell’ irrequieto

sangue magiaro.

Questa fusione imperfetta, è del resto, a

noi famigliare, da quando comparvero i pri­

mi modelli di musica slava, boema o russa

o finlandese che fosse : con Dvoràk, con

Tchaikowsky, con Smetana, con Sibelius,

rivelanti col tipo etnico trasformazioni e

adattamenti impensati, strane prospettive di

procedimenti quasi capovolti e simpatici ap­

punto perciò.

Degli epigoni di Wagner Rudolf Nilius

ci presentò un solido modello in Wilhelm

Kienzel con

La fantasiosa cavalcata ed il

triste ritorno di Don Chisciotte;

pagina ove

il tematismo acquista una bella varietà di

atteggiamenti e di chiarezza, sebbene forse

manchi la fusione ideale nel complesso

tessuto.

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