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J

colla Barbara Riccioni, la quale in Torino

aveva lasciato molto desiderio di essere riu­

dita. Dal canto suo l ’artista bramava assai

di ritornare, ma pare, che vi fossero delle

difficoltà finanziarie... e cantarono altri in

sua vece.

Dobbiamo piuttosto correggere alcune

inesattezze gravi delle Cronologie. Anzi­

tutto negli anni 1702 e 1703 si indicano co­

me poeti o librettisti dell’/l mor per

virtù,

0 li due rivali,

e

òe\YArsiade

il Maggi e il

G . B. Giovanelli (?), del

Mitridate iti Seba-

stia

si dice, che non si ha indicazione di

poeta e di maestro. Cominciamo dal rettifi­

care queste tre cose. Il Maggi Giacomo, e il

Giovanni Battista Giovanetti (non Giova*

nelli) non furono mai poeti e con tutta pro­

babilità non si provarono mai ad allungare

sulla carta un verso. Il primo era un sem­

plice vestiarista e scenografo di professione.

In Torino poi era dal 1693 impresario del

teatro Ducale. La lettera che egli prepose

al libretto del

Mitridate in Sebastia,

mu­

sicato non da anonimo, ma da Giuseppe

Aldobrandini, di Bologna, virtuoso di sti­

ma e servitore del Serenissimo di Modena,

è, non di un poeta, ma di un impresario,

che giunto al fine delle sue applicazioni to­

glie commiato dal pubblico, col quale fu

a contatto, da solo e con associati, per circa

dieci anni. In secondo luogo, notiamo,

che, nelle due opere date nell’anno 1702,

1 cantanti prodottisi sono tutt’altro che

ignoti. Oltre a ll’Angela Gheringher, vir­

tuosa del Serenissimo di Mantova, al

Francesco De Grandis del Serenissimo di

Modena, al Giovanni Battista Roberti al

servizio dello stesso cantarono la Vienna

Meliini e l ’Antonio Piacentini, Paolo Tos-

dowich del fu Emanuele Pallavicini, Tere­

sa Frizzieri o Friceri del Duca di Savoia,

il Predieri del Serenissimo di Parma e Pie­

tro Paolo Bezzoni piacentino. Il prezzo del

biglietto d ’ingresso era in quella stagione

fissato a cinquanta soldi. Si conservò nella

stessa cifra assai a lungo, poi scese a due

lire.

Ciò che aveva fatto il Maggi congedan­

dosi dal pubblico, fece il negoziante Gio­

vanni Battista Giovanetti, gerente della So­

cietà impresaria assumendo l ’ufficio. Nella

lettera di dedica del

Tito Manlio

di Matteo

Noris musicato da Carlo Francesco Polla-

roli, bresciano, alla Duchessa di Savoia, egli

invoca appunto il clementissimo gradimento

e la generosa protezione « con questa prima

opera ».

L'Arsiade

poi, attribuita al detto

Giovannetti. era invece uscita dalla penna

del Pietro D ’Averara, bergamasco, e mu­

sicata dall’Antonio Francesco Martinen-

ghi (72). Senza indugio, terminata la sta­

gione, si pose mano per provvedere per la

stagione successiva, ma sopraggiunse la

guerra e tutto rimase sospeso (73).

Il teatro Ducale rimase chiuso sino al­

l'anno 1722. Errano quindi, quanti asseri­

scono,

iaprì pel carnevale dell’anno

1715. Smentiscono questa affermazione i

registri di contabilità, i quali non recano più

alcuno stanziamento per la dote, la quale

era già stata portata a tredici mila lire, e gli

stessi libretti, sui quali sta scritto ben chia­

ramente :

da rappresentarsi nel teatro di Sua

Altezza Serenissima il signor Principe di

Carignano.

Lo stesso teatrino di Corte non si aprì che

per una rappresentazione di commedia nel­

l’anno 1718.

Nel 1722, in occasione delle nozze del

(72) Il Libretto dell'Araiade porta la dedica al Principe

di Piemonte. In eaaa il tuo autore, Pietro d'Averara, ebbe

a acrivere che aveva fatta apiccare eatremamente la tua

muta ».

(73) « In esecutione agli ordini di S. A . R . ricevuti dal-

l’E. V. ho parlato «abito «f tignar Bondicchi, tegreimio

del Granduca di Firenze, acciò persuadi il signor Mar­

chese Bartolomei a non ingerirsi nò prendere unpegnt per

la cantatrice Ciociola avendo fatto conoscere al predetto

signor Segretario, che tutta la ragione ò dalla parta dei

signori Impresari del Teatro d i Torino. Egli mi ha pro­

messo di passarne ogni piò vivo officio ■. (Loc. eit. Lett.

Miniatri Milano 16 luglio 1703 e Landriani al Miniatro).

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