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principe Carlo Emanuele di Savoia con A n­

na Cristina di Baviera, principessa Palatina

di Sulzbach venne rappresentata un’opera

di autore ignoto intitolata

Recimero.

Secon­

do i soliti e già citati autori, l’opera sarebbe

stata posta in scena al teatro ex-Ducale, ora

Regio, ed eseguita dalla Maria Laurenti,

detta Coralli, bolognese, al servizio di S. M.

Augusto II re di Polonia, Elettore di Sasso­

nia, da Margherita Gualandi, detta Cam­

pini, di S. A. il Principe d’Armstadt, da

Angiola Zanzucchi, bresciana, da Rosa

Croce, bolognese, da Giovanni Battista

Minetti, bolognese e Antonio Dencio, ve­

neziano. Con buona pace di quei signori,

il

Recimero

fu dato nel maggio al teatro

Carignano e di là portato per cinque sere

al teatrino di Corte della Rotonda. Que­

sta rettificazione ci viene da due docu­

menti assolutamente indiscutibili. 11 prime

ci viene fornito dal tesoriere della Reale

Casa, il quale registra nei suoi conti un pa­

gamento di lire duemilaottocento « Alli si­

gnori Alessandro Amedeo Vaudagna e

conte Goveano associati per l’opera reci­

tatasi nel teatro di Sua Altezza Serenissima

il Principe di Carignano a riguardo d ’haver

essi fatto recitar l ’opera per cinque volte nel

Rondeau del Castello Reale et AA .

RR. » (74).

In una relazione sincrona delle feste ce­

lebrate in Torino per le nozze del Principe

Carlo Emanuele poi si legge : <• Al trat­

tenimento del ballo si aggiunsi un altro sere

vacanti quello dell’opera recitata da sceltis­

simi musici chiamati a tal fine, con nobile

onorario in un teatro fatto alzare di nuovo

in corte». Un terzo ricordo lo abbiamo fi­

nalmente in una incisione a colori del Ju-

vara, che riproduce appunto una di queste

rappresentazioni.

Il teatro Regio si riaprì finalmente per

la stagione d ’opera del carnovale 1722 in

1723 colle due opere

Artenice

dell’Orlandi-

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ni, modificata da Giovanni Antonio Giay,

e il

Trionfo della felicità

musicata da Ste­

fano Maria Fiorè, milanese, maestro di cap­

pella del Re di Sardegna non figlio del

celebre compositore torinese Angelo Mario

Fiorè, che non esiste, ma di un valente vio­

loncellista milanese dello stesso nome (75).

Dai libretti di queste due opere che non sono

del Giovanetti impresario dell’opera e ne­

goziante di stoffe, ma di poeti sconosciuti,

non appare, chi fossero gli artisti chiamati

in quella stagione. Possiamo però essere

tranquilli. Il nome taciuto del versificatore,

o, come diceva il Brofferio, del rigattiere di

polimetri, non costituisce un danno per la

poesia e per la letteratura. Tutt’altro.

Sappiamo soltanto, che i balli furono

« vagamente concertati dal signor Natale de

Bargues, maestro di ballo di S. M. e delle

LL. AA . RR . e che il compositore delle

ariette di essi fu Giacomo Rasetti, torinese,

musico, suonatore di violino di cappella e

camera della Reggia ». (76).

La collaborazione del Giay, torinese,

(74) Arch. di St. di Torino. Conti R. Casa ad ann. Di

queste rappresentazioni esiste un ricordo in un’incisione

del Juvara.

(75) Chi pel primo asserì che il Fiorè padre fosse pie­

montese. è il Sacerdote. Il

CURETTA

nei suoi Reali d'Italia

munifici protettori delle Arti (in i Miscellanea di Storia

Italiana •. serie III, voi. XXX), aveva manifestato il dub­

bio, che il figlio potesse essere piemontese.

(76) A titolo di curiosità, ecco la scena finale dell'atto

primo dell’jl rfenice :

(Cleonzio aolo)

Che gran fortuna mia

D i trovar cori buona compagnia f

Genti di più poeti,

Alemanni e franceti

Ad onor d'Artenice

Oggi ttata Regina incoronata.

Piò d'una grotta botte hanno votata.

Oh quanto allegro i questo giardiniereI

Che bel gatto il vedere

Quei tuoi garzoni Armeni pien di vinol

In an paese, ove non piaca ponto.

La fetta andò benissimo,

Ortù, Metter Cleonzio

Siete Bacco slettistimo.

A lin i, tasti, piani.

Fremete a noi davanti.

A l saon di Com i e pifferi

Si tuoni al Dio di grappoli

un'ecatombe d’asini:

Sa, presto, alla gran caccia

O là, la testa frantati

A qael bettion talvatico.

Che rose e viti e pampini

O tempre in lor t'impaccia.

<