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antichi ricordi locali, ad archivisti e biblio­

tecari — cui tributo ora pubblicamente le

mie più sentite grazie — come le persone

maggiormente competenti e dotate sopra­

tutto di un colpo d ’occhio, che permette di

scoprire alla prima fra innumerevoli docu­

menti quello significativo, interessante, ma­

gari frammentato, di cui valutatone il ca­

rattere ed il concetto può essere per lo stu­

dioso, per lo storico di guida alla ricerca di

altri documenti che possono servire al com­

pletamento di cognizioni in parte note od

alla correzione di altre errate. Ebbene 1esi­

to è stato del tutto negativo. Mancano me­

morie, appunti, ragguagli occasionali. Solo

Bonizzi dichiara di avere visto in certa quan­

tità i torraioli, ma selvaggi, sul Palazzo Ma­

dama. Si trattava certamente di un branco

di tali uccelli di passaggio. Per più anni ho

avuto occasione di osservare accidental­

mente verso l ’autunno avanzato sul castel­

lo medioevale del Valentino e sugli alben

resinosi che lo circondano colombi selva­

tici che io pure credetti di riconoscere per

colombacci. Nel palazzo Madama è solo

dopo il conflitto Europeo che una colonia

di colombi domestici vi dimora staziona­

riamente. Numerosi ed anziani torinesi ai

quali r\}i sono rivolto hanno tutti confer­

mato essere i rondoni,

i così detti pivi,

gli

uccelli che ogni anno vi nidificano e che ci

assordano colle loro acutissime strida di

gioia. Michelet che nella prima metà del

1800 passò qualche tempo a Torino scrisse

nelle sue riflessioni che verso sera amava

recarsi nella piazza Castello por osservare

le turbe dei rondoni.

1 colombi a Torino in così grande nume­

ro debbono costituire una novità ; difatti gli

storici non fanno di essi menzione. Ad

esempio il Baruffi che nelle sue passeggiate

(1838) non ha trascurato di mettere in evi­

denza anche le più piccole cose pure non

ne parla. Che piazza San Carlo, al tempo

dello scrittore, non fosse rallegrata da que­

ste innocenti bestiole sta il fatto del suo si­

lenzio. Egli così si esprime : « la piazza

San Carlo veduta nel giorno rammenta a

prima vista ad alcuni, la rinomata di San

Marco in Venezia ». Per la sola consocia­

zione di idee se ci fossero stati colombi ne

avrebbe fatto parola tanto più che accenna

particolarmente ad ogni palazzo, rammen­

ta ogni episodio lieto e triste, ogni fatto cu­

rioso ivi avvenuto. Anche in piazza San

Carlo se ne trovavano certamente un gior­

no, molto lontano, quando in essa si ven­

devano polli, verdura, ecc., ma spennati

sui banchi dei rivenditori.

Sembra però accertato che verso la metà

del secolo scorso esistessero tre nuclei di

colombi dislocati precisamente nel palaz­

zo dell*Accademia delle scienze, nella

chiesa di San Massimo e nelle caserme di

via della Zecca (ora via Giuseppe Verdi).

Intorno ai loro . . .cri zoologici è impossi­

bile raccogliere informazioni ferme e po­

sitive.

Le notizie storiche sull'allevamento del

colombo nel Piemonte cominciano sul fini­

re del 1500, ma non sono nè copiose nè

minute tanto da non permettere di seguirne

10 svolgimento e le vicende, nè di entrare

in tutti i particolari perchè sempre mancano

gli atti che dovrebbero dimostrarli.

In antico era probito di cacciare in qual­

sivoglia modo colombi domestici e di co­

lombaia. Con ogni probabilità si faceva

tale distinzione per differenziare rispettiva­

mente i colombi ora così detti mondani,

che nidificano qua e là nei fabbricati (fie­

nili, granai, tettoie ecc.), dei cortili rurali,

dai colombi che pongono stazionaria dimo­

ra nei speciali «tifici chiamati appunto co­

lombaie. Un editto del 14 maggio 1596 in­

fliggeva ai contravventori la pena di 100

scudi e di 3 tratti di corda ed a coloro che

1 comperavano 50 scudi per ogni colombo.